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Un'avventura di Antonio Canova

Il pezzo sulle modelle del Canova che ho costruito con l’aiuto dell’intelligenza artificiale (che trovate qui) non mi ha soddisfatto completamente. Ho quindi rovistato tra le mie cose mentali ed ecco il risultato. Buona lettura

 

Sono sotto il cono di luce al Bar delle Sirene, ho dei fogli in mano e di tanto in tanto correggo qualcosa con un pezzo di matita. Nel bar pochi tavoli occupati. Perdo tempo, magari si presenta qualcun altro… nessuno! Guardo Elemo, mi fa il solito impercettibile cenno di assenso. Mi schiarisco la gola e mi rivolgo ai presenti: “Stasera non racconterò nessuna storia, ma vi leggerò il racconto di un’avventura di Antonio Canova scritta di suo pugno” – “Chi?” – “Antonio Canova, un grande scultore dell’8oo che scolpì la statua della sorella di Napoleone”. Silenzio. Faccio prendere luce ai fogli ed inizio la lettura.

 

“Nel 1803 mi trovavo a Roma, alla ricerca di modelle per l’ultima opera che mi era stata commissionata, la statua di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone e moglie del principe Camillo Borghese. L’opera doveva rappresentare Venere Vincitrice, la dea romana dell’amore e della bellezza, nuda, che si copre il seno con una mano mentre con l’altra regge una mela quale premio per la sua bellezza.

Conoscevo personalmente Paolina, aveva già posato nel mio studio, uno spazio luminoso e arioso, con  i soffitti alti e le ampie finestre che affacciano su  Via del Babuino. Ma, a differenza delle maldicenze che giravano nei salotti romani, aveva concesso solo la sua testa alla mia arte… – “Antonio, so che il tuo genio mi renderà immortale”, mi sussurrava durante le sedute con quel suo particolare accento francese. Una voce che sognavo la notte… Mi diceva anche di chiamarla Paolina, quando non si era sotto il giogo del rigido protocollo. Ma, vuoi per il senso di distanza che provavo nonostante tutto, vuoi per la squadretta di giannizzeri del principe Camillo fuori dalla porta dello studio, non ho mai osato andare oltre il baciamano.

Dunque avrei dovuto cercare più modelle per le varie parti anatomiche da adattare…
Trovare donne disposte a posare nude per uno scultore non era facile, così mi ero rivolto, per avere qualche suggerimento, a Tadolini, il mio allievo prediletto.

Adamo, giovane artista talentuoso, disinibito e curioso in maniera quasi morbosa, non si faceva scrupolo di entrare in contatto con le più varie tipologie di persone. Io,  riservato e timido,  lo seguivo, fiducioso nella sua capacità di scovare le perle rare che potessero incarnare la bellezza e la grazia delle antiche statue greche e romane.

Mi accompagnò nei bassifondi della città. La calura estiva era opprimente, le strade piene di vita, le case dai colori sanguigni sbiadite dal sole. Camminavamo veloci e nei vicoli i nostri passi risuonavano sulla pavimentazione sconnessa.  I volti che incontravo erano  segnati dalla fatica e dalla miseria.

Ci dirigemmo all’obitorio della Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, che aveva una grande cripta utilizzata per le sepolture. Tadolini aveva spesso trovato qui del materiale interessante per i suoi lavori. Almeno così mi disse. Fortunatamento l’addetto non aveva merce fresca, anche se, dopo aver saputo che ero Antonio Canova, pretese lo stesso il compenso.

Si era fatto sera quando arrivammo alla Suburra, a ridosso del Colosseo, uno dei quartieri più malfamati di Roma: vicoli stretti, strade polverose e case fatiscenti, frequentato da criminali, prostitute e disperati in cerca di una vita migliore. 

La Suburra è una zona franca abitata principalmente da persone povere, ma anche da artigiani e ricchi mercanti che cercano di sopravvivere in un ambiente ostile. La legge non sempre viene rispettata e la corruzione è diffusa. 

Entrammo alla taverna “La Sorca d’Oro”, in via del Boschetto, attratti dall’insegna – il nome in cerchio con al centro la sagoma di un ratto di fogna femmina stilizzato e antropomorfo, il tutto in ottone battuto – un sordido locale frequentato da personaggi curiosi e bizzarri, scrittori, artisti,  musicisti, ballerine, finte contesse viennesi e papponi.

“Quest’insegna, non le pare in contrasto con il recente Decreto emanato dal Santo Padre che vieta la pubblicazione di materiale eretico?” – Tadolini rispose “No, no… è che il proprietario si chiama proprio Sorcà… l’accento cambia tutto… inoltre si dice che dietro ci sia la lunga mano del cardinal Consalvi…” – “Lei è già stato qui!” – “E’ una delle taverne più frequentate a Roma”.

All’interno le pareti erano ricoperte di graffiti e di manifesti politici, “Diu Satis”, i tavoli sporchi e consunti, le sedie sbilenche, l’aria densa di fumi, rumori di bicchieri e risate beffarde. La luce fioca delle lampade a olio creava un’atmosfera cupa e misteriosa. In una sorta di capogiro epilettico percepivo gli avventori come dei fantasmi a coppie o a gruppetti, sfocati e colorati. Mi aggrappai a Tadolini per non cadere.

Dal fondo emerse nitida la figura di una giovane donna; aveva i capelli castani, gli occhi scuri e una pelle abbronzata dal sole. Indossava un vestito semplice e consumato, e la sua bellezza naturale risaltava in quel luogo zozzo e decadente. Appariva timida e spaventata, ma la sua dolcezza e riservatezza le conferivano un’aura di fragilità e di innocenza. Mi colpì subito la sua somiglianza con Paolina (che forse vedevo solo io, Tadolini si era mostrato più tiepido…). “Lei lavora qui? Come si chiama?” le chiesi emozionato – “Rosina Ducci” rispose senza guardarmi negli occhi. Dopo i convenevoli di rito, le spiegai il motivo della mia visita in quel posto e le proposi un provino. “Ovviamente ben remunerato!”

La giovane donna si mostrò riluttante, le dissi che sarebbe stata in buona compagnia, insieme ad alcune mie amiche aristocratiche che avevano promesso di posare per la statua di Paolina. Vinta dall’orgoglio di dover impersonificare una nobildonna, Rosina alla fine accettò. Il signor Sorca, il proprietario della locanda, oltre a metterci una buona parola ci fornì – dietro lauto compenso – una stanza appartata. Rosina pretese che Tadolini stesse fuori, poi si spogliò  con una naturalezza sconvolgente e mostrò il suo corpo al mio sguardo attento. Le dissi che non avevo nessun interesse sessuale, volevo solo creare una scultura perfetta. Lei sorrise mentre si ricopriva pudicamente con un lenzuolo.

Rosina si dimostrò bravissima nel posare. La prima seduta, nel mio studio di scultura, il giorno dopo, fu una rivelazione. Mentre modellavo la creta, avevo la sensazione di avere davanti la vera Paolina.

Il secondo giorno Rosina, con mia grandissima delusione, non si presentò. Passò del tempo e venni a sapere da Tadolini che la ragazza era stata arrestata per prostituzione. Questa notizia mi lasciò sconcertato. Mi chiesi se Rosina fosse già una prostituta quando la incontrai o se fosse diventata tale dopo aver posato per me.

Era bellissima da qualunque punto la si guardasse. Grazie a lei ho avuto l’idea del marchingegno che fa ruotare lentamente la statua di Paolina… a lei e alla recente scoperta del francese François Arago, il fenomeno dell’inerzia rotazionale, che porta alla definizione del momento angolare.”

Smetto di leggere. Da un tavolo arriva un timido battito di mani da uno che non ho mai visto prima.

Un paio di sere dopo lo stesso tizio chiede a Elemo se può leggere una poesia che ha scritto ispirato dall’avventura di Canova, che lui conosce e apprezza. “Ne fai, di chiacchiere! Vai, vai, facci sentire”, gli risponde Elemo. Il tipo sgambetta fino al palchetto, srotola una pergamena, gira lo sguardo nel locale e attacca. 

“Io, Canova, scultor di marmi e fama,

mi trovai in Roma un giorno a passeggiare,

con meco il mio allievo Adamo,

curioso di ciò che più si ama.


Cercavamo qualche forma da ritrarre

tra i bassi e i vicoli oscuri,

per comporre la statua di Paolina,

cercando di evitare la bagarre.


Adamo mi diceva: “non vi basta la grazia e l’ardire,

di cotanta signora, che vi dona

il suo corpo immortale da scolpire?”


Ed io gli rispondevo: “tu non sai quanto sia raro

trovare l’armonia in una sola,

che abbia il seno, il fianco e il cul

di pari eccellenza e poco avaro.


quel che manca a Paolina è come un frutto

Per questo lo cerco in varie donne

con l’arte mia, che sa fondere e unire

le bellezze sparse come un tutto.”


Sono l’unico a battere le mani. Il tizio mi si avvicina, vuole conoscere la fonte del mio racconto. “Antonio Canova in persona”, rispondo.

Poi vedo Elemo agguantare l’ometto per la collottola e accompagnarlo all’uscita in malo modo. “Qui dentro culo lo posso dire solo io! Io e Rea!”

Da “La linea laterale” di Franco Rea

Rosina
Rosina, una modella del Canova - franco rea&IA - 2023

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