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dilatazione della percezione sensoriale - franco rea 2023

acque sintetiche

La linea
laterale

di Franco Rea

romanzo-soggetto televisivo (pseudo-fantascienza) – estratti alla rinfusa (contro i replicanti e i solidificatori del Mondo)

 

“… I pesci presentano anche un organo di senso non presente in altri vertebrati: la linea laterale. Essa è costituita da una serie di canalicoli che corrono lateralmente nella testa e nel corpo dell’animale, collegati con l’esterno tramite piccoli pori, e ha la funzione di percepire variazioni di bassissima frequenza o flebili campi elettromagnetici…” 

 

Ambientato in un momento storico imprecisato, incoerente, parallelo, nei pressi di Castelporziano, ex statale per Ostia, km 23(direzione Infernetto) in sovrapposizione quantistica con Marginetto, nell’isola di La Maddalena, e il Villaggio dei Pescatori a Fregene: pinete, vigne, il mare, macchia mediterranea, un borgo di casette raggruppate, un laghetto artificiale, il  terreno brullo attraversato da una tortuosa e deserta strada asfaltata, un vecchio distributore di benzina anni ’70, la fermata Atax, la casa cantoniera. Un mondo depresso dalla caduta del capitalismo mondiale…

illustrazione di franco rea

– “Sono Rea,  il benzinaio di Infernetto… la palina dell’Atax in fondo alla strada segna il confine del mio dominio…là, vedete?” –
“Ci passo molto tempo, qui al distributore… Ci dormo… Dietro il gabbiotto di metallo ho sistemato il sacco e l’uomo di legno… pratico …, mi alleno con il wing txun… Niente tv, radio, cinema, giornali, libri…niente nomi… solo cognomi!”

 

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 Seracchi apre la bocca (e il racconto verbale si fa immagine, ma la voce è la mia, chi racconta sono io): “… girovagavo sui bus con tessera settimanale illimitata, decidendo i tragitti in base ai nomi sulle paline o ai numeri. Mi ritrovo di notte in periferia su questo mezzo in compagnia di una banda di coatti che tormentano il conducente. Sti stronzoni per poco non ci mandano fuori strada. Interviene un tizio di mezza età dalla faccia mite e i modi gentili e i tipacci si scatenano vigliaccamente su di lui. L’altro passeggero, un anziano cinese, si fa piccolo piccolo sul sedile. Sento subito la paura salire, è un veleno che paralizza. La combatto con la respirazione. Qualcuno tira fuori il coltello, il bus inchioda… approfittando del fatto che l’attenzione non è rivolta a me, mi avvicino alla porta centrale che l’autista ha aperto e cerco di scendere, mi sento afferrare da dietro e rigettato dentro dopo un calcio nel culo… ed è proprio questo calcio a far riemergere un barlume di amor proprio… controllo la paura e mi butto a malincuore – ma acceso – nella mischia. Nello spazio angusto del bus ho vita facile, li posso affrontare uno alla volta… respiro come da manuale, in testa due parole che danno ritmo alla respirazione: vuoto e finalità, vuoto e finalità. Con una tecnica goffa ma efficace ne lascio due sul pavimento (il secondo urla “non ci vedo più!”).

Gli altri, impressionati dall’ intervento inatteso, scendono velocemente dal mezzo e scappano. Provvidenzialmente.

Scendo per respirare aria fresca assieme all’autista e al signore che mi ringrazia per avergli salvato la vita. Vengo assalito dalla nausea, mi allontano di pochi passi e vomito. L’autista intanto fa scendere i due doloranti a calci nel culo. Rientro nel gruppetto. “Niente denunce?” Siamo tutti d’accordo. Il signore anziano si avvicina, mi chiede come sto. “L’avevo notata, prima dell’aggressione …non ci siamo già conosciuti?” “Non mi sembra… prima, stavo scappando…” – “ma alla fine se l’è cavata bene… che era, kung fu?” “Wing Txun” – si intromette sorridendo il cinese – “stile acqua”. Con mio grande stupore abbozza la lat sao form di Sifu Rossi in mezzo alla strada. 

Quando il bus riparte resto a terra, il cinese ancora mi sorride dal finestrino e mi indica una direzione; mi guardo intorno: poco lontano un vecchio distributore di benzina anni ’70 con l’insegna in plastica e neon che brilla nella notte investita da un raggio di Luce che proviene dall’alto: ELF.  

Al distributore nessun segno di vita. Sul cartello appiccicato al gabbiotto c’è scritto “cercasi gestore”, con numero telefonico. Dietro il gabbiotto un vecchio telefono a gettoni, lo provo, funziona, ma non ho gettoni; con le dita frugo per riflesso nel comparto dove calano i gettoni di resto e trova una finta moneta d’ottone consumata: da un lato, in rilievo, il logo ELF, sull’altro una macchina per il volo di Da Vinci(aspettava me, come l’orata). La fessura l’accetta, posso comporre il numero. La voce al telefono, neutra, sbrigativa, mi indirizza verso un certo Signor Catopia, al Bar delle Sirene.

Il bar è quasi vuoto (un grigio bar di provincia semibuio, un camerone arredato con doghe di finto legno a mezza parete, un grosso buco nel soffitto, il bancone sbreccolato, i videopoker spenti e polverosi, le patatine, 5 o 6 tavoli di formica, la porta per il cesso, la pedanina di legno con un faretto puntato…) 

Il Signor Catopia mi aspetta seduto in penombra.

Catopia:” Il distributore è di una società anonima. Il benzinaio è andato in pensione la settimana scorsa… quindi lei lo vorrebbe in gestione… l’avverto,  c’è da rifornire solo i locali e qualche raro automobilista di passaggio… naturalmente lei ha le carte in regola (mi fissa, faccio un piccolo cenno di assenso) … ma come mai le interessa questo posto?” – “…” – “E’ di queste parti? ha un’aria familiare… Qui fortunatamente ci piove di rado…”. Mette sul tavolo due mazzi di chiavi. “Queste sono del distributore, queste della casa annessa, poco lontana dal distributore. L’affitto è compreso. E’ una vecchia casa cantoniera rossa con su scritto  anas; è un tantino malmessa, e come tutte le costruzioni qui a Infernetto è senza tetto, o con un grosso buco… tutte, tranne il distributore e il tetto dell’Orchidea, che è fatto di plexiglas trasparente, o quasi… quindi deve considerarsi una sorta di privilegiato. Naturalmente può decidere di vivere da un’altra parte, se desidera… il vecchio benzinaio è vissuto fino alla settimana scorsa al distributore, dormiva nel gabbiotto… ma vedrà lei stesso.” –  “Perché avete bucato i tetti delle case?” Catopia si stringe nelle spalle “… è una lunga storia… ma avrà modo di sentirla raccontare da qualcuno… qui i racconti sono lo sport nazionale… lei come se la cava?” – “Non saprei…” – “Avremo modo di vederla all’opera. Domani mattina troverà Seracchi  al distributore, le mostrerà ogni cosa.”. Si alza dal tavolo e mi tende la mano “Beh, si è fatto tardi… se ci sono problemi mi chiami pure…”

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Alla pompa: una lunga fila di auto, la comunità di Infernetto che viene a rendere omaggio al nuovo benzinaio. Ma alla fine resto solo, al mio fianco una piccola catasta di generi alimentari(per lo più scatolame) mista a vari oggetti da rigattiere. Un sacchetto di carrube. Pere e mele, anche… e qualche guscio di cozza… raccolgo un gettone telefonico e lo infilo in tasca. “Casomai dovessi contattare Catopia” 

Dietro il gabbiotto una collinetta di oggetti scartati

 

illustrazione di franco rea

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L’inondazione causata dall’eccezionale nubifragio abbattutosi su Infernetto ha modificato l’assetto della zona. Un tratto in pianura è diventato una sorta di imbuto rovesciato, come se la terra fosse stata risucchiata. Ha resistito solo il pezzetto con la grande quercia, sicuramente grazie alle possenti radici.

In primavera Filas va a fare un sopralluogo nella sua tenuta agricola; scruta il terreno, il grande fosso di fango, la vegetazione incolta, la capanna scalcinata. “Che bella eredità”, mormora a se stesso.
Esplorando il dominio trova un arco interrato sotto la capanna; con la mano spazza via il terriccio sulla chiave di volta: vi è inciso un rozzo pesce. “Antichi cristiani”, dice a mezza voce, perplesso. Si mette al lavoro per ricoprire l’arco con la terra. Scavando l’arco romano Filas scopre un condotto ostruito… l’emozione indicibile che lo assale quando buca la parete di calcare e viene investito da una corrente d’aria fredda…

Il cantiere è in piena attività, si scava, si accumulano detriti, si ricopre di sabbia. Un operaio trova dei cocci, un altro un frammento liscio di una statua di marmo… sol invictus…
Filas isola l’area del condotto camuffandolo da pozzo nero (un tanfo insopportabile…)
Quando lavora al condotto Filas assomiglia da lontano a un piccolo tuareg…

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Sono sotto il cono di luce al Bar delle Sirene, ho dei fogli in mano e di tanto in tanto correggo qualcosa con un pezzo di matita. Nel bar pochi tavoli occupati. Perdo tempo, magari si presenta qualcun altro… nessuno! Guardo Elemo, mi fa il solito impercettibile cenno di assenso. Mi schiarisco la gola e mi rivolgo ai presenti: “Stasera non racconterò nessuna storia, ma vi leggerò il racconto di un’avventura di Antonio Canova scritta di suo pugno” – “Chi?” – “Antonio Canova, un grande scultore dell’8oo che scolpì la statua della sorella di Napoleone”. Silenzio. Faccio prendere luce ai fogli ed inizio la lettura.

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Incontro il proprietario del laghetto

 “… mi fermo attratto dal laghetto e sto facendo due lanci di prova  quando mi si accosta un mastino che mi abbaia contro, seguito da sto tizio di mezza età basso e tracagnotto vestito con un completo scuro sgualcito e un cappello alla 8 e ½ sulla testa quasi calva. “Buono, King!” L’ometto comincia a guardarmi con insistenza e mi fa “non hai letto il cartello?”.  “Quale cartello?”, rispondo con la voce strozzata dall’adrenalina,  senza mai perdere di vista il cane. Proprio in quell’attimo ho sentito uno strappo e il suono inconfondibile della frizione del mulinello… ho dimenticato tutto, il tizio e il suo cane, i miei guai, tutto… sono riuscito a tirarla su, una bestia di circa 3 chili! “Ma è un’orata! Come è possibile?” passo due dita sulla pelle bagnata del pesce e me le infilo in bocca: è acqua salata! 
L’orata mi guarda, io guardo lei… la ributto delicatamente in acqua. 
Il tizio mi chiede se ho usato esche artificiali. – “Non ho esche con me, l’amo era pulito…” – Il tizio: “ Posso dare un’occhiata allo zainetto?” Guardo il cane… nulla in contrario. Naturalmente non ho esche con me. Per rimarcarlo mi svuoto anche le tasche – Come mai questa avversione per le esche artificiali? – –  fanno venire glì incubi ai miei pesci… quindi niente esca, eh? Incredibile! – – Non mi era mai successo… mi stava aspettando, forse è venuta a suicidarsi. –

– Perché l’ha liberata? Bisognava mangiarla!

Lo porto a vedere il grosso buco nella rete di recinzione da dove sono entrato. Il cane si agita, anche il tizio… adesso è più simpatico. Parla, racconta, sorride… Il cane no. continua

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Filas è sempre indaffarato con lavori di manutenzione, pulizia dei condotti, deviazione di corsi d’acqua, costruzioni di capanni per la pesca dove poi ci si passa le notti a crapulare ma sempre senza donne attorno, (*altro tema, impotenza degli uomini soli, un girare a vuoto…) e d’altronde, vista la misoginia. … è vago sulla tenuta, dice che ce l’ha in gestione, che i proprietari sono morti da tempo e lui ne ha l’usufrutto… ma io sospetto che il proprietario sia proprio lui… la struttura di pesca sportiva ufficialmente è attiva, ma di fatto è la casa di Filas.

Grazie all’Orchidea, l’unica costruzione con un tetto – sia pure di vetro – Filas gode di un indubbio prestigio, nella piccola comunità di Infernetto… si direbbe che ne è a capo, anche se qui non esistono capi… almeno così aveva detto Catopia…

Con la sua Apetta Filas è sempre pronto ad accorrere in aiuto di chiunque… naturalmente ricevendo sempre qualcosa in cambio… ma il suo vero commercio è il laghetto, o meglio, il pesce che c’è, perché in mare…
(… ma non ci ha mai visto nessun altro pescare, tranne lui e me e i fortunati del concorso annuale) ….
A quanto pare sono l’unico ammesso al lago… grazie forse alla mia pesca miracolosa senz’esca, o per i miei racconti… chi lo sa!

 

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– “… una volta, su un dirupo a strapiombo sul mare, (a Cala Francese) ho pescato con la canna una bella orata, e subito l’ho immersa in un grosso buco tra gli scogli pieno di acqua di mare… ho passato la giornata a cambiare l’acqua, e a fine serata mi ero come infatuato del pesce, bellissimo, con il corno d’oro risplendente tra gli occhi…  la cosa strana  è che si faceva accarezzare come un cagnolino, e io sentivo una debole scarica elettrica salire a ondate dalle dita, una cosa quasi erotica… ricordo il tentativo insistente da parte di un altro pescatore di comprarla prima, di rubarla poi (nella colluttazione che ne è seguita è caduto in mare, stava per affogare, gli ho dovuto salvare la vita)… di come mi ingegno per costruire un contenitore in modo da farle sopportare un viaggio eccetera… fino all’epilogo (all’aeroporto mi costringono ad aprire il contenitore – sospettano contenga un congegno esplosivo perché rilevano una strana attività magnetica – , una testimone telefona alla protezione animali, arrivano presto, intanto il congegno che eroga ossigeno all’acqua si guasta e la mia innamorata sta per morirmi tra le  braccia… interviene una guardia, prende l’orata e di corsa la tuffa in un piccolo acquario nell’ ufficio bagagli… la riporto a mare, la immergo, ma lei non va via, resta molto tempo facendo avanti e indietro… l’accarezzo per l’ultima volta. Si allontana, infine… sento ancora la sua mancanza… “ –

La lunga guerra tra proprietari di mezzi di produzione e loro lavoratori salariati, per il controllo del valore delle merci prodotte, era cessata. La pace prevedeva nuove regole economiche, giuridiche e naturalmente morali che determinavano una struttura ideologica unidimensionale, senza più nemici né utopie. Tutto ciò che esisteva e accadeva era diventato assolutamente razionale o giusto e il metodo della produzione capitalistica e del libero mercato l’unico mondo possibile. 

… Era una mattina come tutte le altre e Ahamad si svegliò con la comparsa della luce. Inghiottì alcune pillole di vitamine con due profondi sorsi d’acqua, poi si preparò, intorpidito, una tazza di caffè e dopo aver fumato una sigaretta si fece la doccia. Fuori il cielo era offuscato da una spessa coltre di nubi e il caldo era sporco e soffocante. Iniziava uno di quei giorni che televisioni e giornali avevano insegnato a definire “Giorno Meteorologico Straordinario” (G.M.S.). Durante questo tipo di giornate si presentava una situazione, nella quale l’inverno era, per lunghi tratti, simile all’estate; ma, mai, l’estate simile all’inverno. Ahamad prese il treno elettrico, obbligatorio per tutti in questi casi, per recarsi negli uffici dell’azienda conglomerata dove lavorava. Il Governo aveva proibito il traffico privato delle auto nei giorni di G.M.S. e, questo, in occasione della crescita del numero degli stessi. Provvedimenti sollecitati, già da molto tempo, da tutti i più noti intellettuali del pianeta e ipotesi convalidate da scienziati ed esperti di tutto il mondo, non convincevano però né industria né governo a fermare l’uso delle automobili e delle combustioni in generale come vera e propria eco-infezione mortale. Era un lunedì molto caldo per essere pieno inverno. Ahamad appena arrivato in ufficio e fatte identificare le sue impronte digitali come prevedeva il regolamento della succursale dell’azienda farmaceutica dove lavorava, entrò nella sua piccola stanza e si gettò avidamente nella lettura dei giornali della mattina strafregandosene del lavoro programmato per quella giornata.
Il primo articolo, che Ahamad lesse, riguardava il ruolo della Chiesa Cattolica Globale.
Questa era profondamente divisa sul valore e sull’interpretazione delle nuove questioni meteorologiche.
Le gerarchie ecclesiali pensavano che fosse un’ammonizione divina per la radicata e troppo diffusa malvagità delle popolazioni, mentre i preti di base, quelli che vivevano tra i più deboli della società globalizzata, pensavano invece che l’attenzione verso le Cose avesse di gran lunga oltrepassato quella per i Corpi, per le persone, per le anime…
A quel punto Ahamad alzò gli occhi dall’articolo che stava leggendo, mentre si chiedeva dove avesse sentito che la prima parola che i nuovi neonati avevano ormai imparato a pronunciare non era più “mamma” oppure “papà” bensì “casa mia”. 
“Una cosa materiale e non il nome dei genitori, ormai estranei in un mondo estraneo. Più materialismo di così!” pensò Ahamad a voce alta cancellando così qualsiasi speranza di redenzione da ogni cellula del suo corpo.
(continua)
(Alberto Merolla R.I.P.

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… qui a Marginetto le cose stanno un tantino diverse… so di gente senza scrupoli che sfrutterebbe il pensiero di Ahamad per costruire un efficace spot promozionale col pupo che strilla “Casa mia! Casa mia!”… Materialismo! Sono così materialisti che trasformerebbero loro stessi in cemento e metallo… perchè ci deve sempre essere un piccolo margine di profitto, qui a Marginetto! Solo a sentire la parola “baratto” ci sale il sangue alla testa, a noi di Marginetto!”

 

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“… fino a quel momento il C.C. controllava anche il più flebile respiro dell’occupante, e, a fronte di situazioni che riteneva non adeguate, interveniva in qualche modo (in genere un diverso dosaggio degli elementi chimici del farmaco ipnoinduttore).

A volte gli interventi equivalevano all’elettroshock, quando per esempio l’occupante non riusciva ad arrestare il monologo interiore e i sensori registravano i picchi e i superamenti di soglie del segnale EEG…

Il contatto con gli altri era difficile, deplorato, e in fondo non c’era tanta voglia di comunicare… per dirsi che?”

Bess, un incapsulato che ha volutamente ristretto l’accesso alle informazioni, isolandosi, decide un giorno di collegarsi all’esterno, ma non ci riesce a causa del guasto del sistema centrale. La sua area non ha subito troppi danni. L’isolamento volontario diventa così isolamento forzato, e Bess patisce ogni forma di panico, infine manda un segnale d’aiuto con il BCI. 

Il BCI (Brain Computer Interface*) era nella dotazione delle capsule: serviva per inviare un segnale mentale di aiuto in caso di bisogno…

Bess si aspetta un intervento, ma capta solo dei confusi messaggi mentali…

“… a loro è servito per comunicare… come modello di funzionamento la linea laterale dei pesci… diventando la base per la comunicazione mentale… il racconto dell’orata… flebili campi elettromagnetici… contando solo sui dati immagazzinati dai singoli e quelli frammentari delle poche unità ancora funzionanti della memoria centrale… le affinità hanno fatto sì che  in mezzo all’oceano si formasse un’isola di realtà.”

(Registrazione ambientale nei dintorni della casa dell’architetto, all’Arpaia)

continua

Creata un’interfaccia che trasforma in parole il pensiero di un tetraplegico. Un sistema sperimentale sviluppato da un’equipe di ricercatori della Università di Boston (Usa) guidata dal professor Frank Guenther e dal collega F. Kennedy, potrebbe presto corre-re in soccorso delle tantissime persone non più in grado di comunicare attraverso l’uso della parola. (da un articolo online del 2010)

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… avevano cominciato i malati terminali con mezzi sufficienti – come al solito i primi modelli costavano un fottìo – ma alla fine i governi mondiali, dopo guerre civili e non (uso di armi atomiche, chimiche, batteriologiche), l’aumento vertiginoso di patologie oncologiche, di fronte alla crescente inabitabilità del pianeta, alla scomparsa quasi totale del lavoro umano (solo una piccola elite di fortunati al lavoro su programmi ministeriali rivolti a risolvere le gravi condizioni del pianeta), lo avevano proposto come stile di vita (ricordo i primi slogan… “l’esistenza è una condizione mentale”), e così sempre più gente aderiva (per primi i pensionati in massa).

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Quella sera l’atmosfera all’interno del Bar delle Sirene è più deprimente che mai. Fuori piove (beh, anche dentro, visto il grosso buco nel soffitto del locale), una classica serata invernale qui a Infernetto. – “ Qualcuno ha notizie sul buco nella Cupola?” – chiedo senza convinzione. Niente di preciso, notizie vaghe, riportate, e nessuno da diversi anni ha intrapreso un viaggio alla Capitale…

Seracchi, il vecchio benzinaio, è stato zitto, gli occhi chiari fissi nel vuoto, ma quando nel bar cala il silenzio guadagna la pedanina sotto il riflettore, la sua bocca si apre e, come in stato di trance, recita: “… un piccolo aeroplanetto in difficoltà, il pilota deve effettuare un atterraggio di emergenza, decide per la macchia verde dei giardini vaticani, durante la discesa una tromba d’aria lo investe dirigendolo contro la cupola…”

Il racconto verbale si è trasfigurato in un vivido sogno (ma, nel sogno, verso il finale, sembra che il velivolo vada a schiantarsi sugli alberi dei Giardini Vaticani, e qualcosa pensa che non è la stessa storia, ma proprio allora c’è l’improvviso cambio di rotta, e il pensiero è soddisfatto…)”
Ma è percepibile anche la sovrapposizione dei due stati….

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Il cancellatore di tracce e il creatore di segnali di pericolo

Nei pressi del Monte Analogo, quando arrivi in un punto pericoloso e sei un cancellatore, torni indietro e cancelli le tracce, così da non far cadere in fallo qualcun’altro. Il creatore di segnali di pericolo, invece, si arresta elegantemente un attimo prima del crepaccio, poggia lo zaino a terra, tira fuori gli arnesi e ti costruisce là per là un segnale di pericolo che firma con uno svolazzo… si sa di qualcuno precipitato nel crepaccio per essersi avvicinato troppo a leggere… ovviamente il creatore lascia una traccia, il cancellatore elimina le tracce, e di lui nessuno sa niente…

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Canyon Caprera
Canyon sottomarino di Caprera, conosciuto dai ricercatori e dai pescatori per la particolare morfologia del fondale e la ricchezza di vita: il canyon inizia in prossimità dell’Isola di Caprera arrivando ad una profondità di oltre 1000 mt., fino ad una ventina di miglia a levante delle Bocche di Bonifacio e piegando poi a sud.
Rifornimento di acqua e carburante, attrezzatura da pesca, qualcosa da mangiare, cerate – nonostante l’assenza di nuvole – le varie operazioni…
Velocità di crociera, rotta est, la secca dei Monaci… i pescatori locali evitano questa zona quando il vento soffia da ovest… un’avaria, un problema ai motori e si ritroverebbero sospinti in mare aperto verso fondali che arrivano agli oltre 3000 metri…
Meccanica quantistica, luce, fenomeni nel cielo…
Sai che non siamo propriamente qui…
So anche che è proprio qui che siamo…
Spinti oltre dall’accanimento… un banco di tonni che inseguono la mangianza, noi inseguiamo loro.
Lo strumento si spegne, ma prima ci ha segnalato il fondale: 3200 mt. Forse un errore di lettura…
Il cielo è illuminato come lo è d’estate alla controra, ma ovunque si guardi non si vede il sole!
Il motore si spegne, vuotiamo l’ultima tanica di carburante nel serbatoio. La mano indugia sulla chiave dell’accensione… ci guardiamo, entrambi con la stessa domanda in testa: da che parte andare? M. non nasconde l’angoscia. E’ l’assenza delle ombre, dico io. Stavolta ci lasciamo le penne… non era quello che volevi? Ti sbagli, voglio finire nel mio letto, sulla terraferma.
3 uccelli in volo radente ci danno la rotta da seguire (speriamo bene)… ovunque mare e luce, qualche grosso pesce lontano… il motore tossicchia per l’ultima volta e si ferma. Scarrocciamo alla deriva, mangiamo tonno crudo, ci addormentiamo…
È notte, vedo le stelle sopra di me, niente luna. Congetturiamo sui fenomeni, molte ipotesi, poche certezze, ma una piccola città galleggiante stile by night ci sta venendo incontro…
A questo punto dobbiamo decidere se far collassare la funzione d’onda in una realtà dove veniamo tratti in salvo oppure il ristorante galleggiante ci manca… 

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… dal sacchetto nella tasca estraggo un piccolo pezzo di lisca di gattuccio sotto sale e lo infilo in bocca. Per un paio d’ore mi aiuterà a non sentire la fame. Filas di tanto in tanto me ne allunga un tot, in cambio vuole sempre che gli anticipi un racconto. All’Orchidea, a fianco della mastodontica cuccia di King – che se ne frega di avere il suo bravo buco al soffitto – Filas ha costruito una struttura con la copertura fatta di canne indigene, e sotto ci mette i suoi pezzi di pesce ad essiccare o affumicare: ma perlopiù si tratta di lische di pesce, che finiranno poi sotto sale; Filas le baratta a peso d’oro, soprattutto quelle di scorfano, e i fortunati che possono permettersele ci fanno il brodo della domenica, anche se qui da noi i giorni della settimana non vengono più scanditi, vale solo il giorno e la notte. Ma l’uso comune della lisca sotto sale è come sto facendo io, si succhia fino a farla scomparire!

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la noche era tropicana randagia e romana piazza navona come una sorca d’argento…

Victor Cavallo, Poesie dal Quadernetto Rosso, pagina 64

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Fiesta! tutta in soggettiva

Giocavo con gli amici, si ferma una macchina scura e dal finestrino aperto Piaghetti mi fa “vieni!”. Al volante un conoscente, un certo signor Fantano, grasso titolare dell’omonima agenzia funebre del paese. Ogni tot Fantano si arresta, noi scendiamo, io con il manifesto, Piaghetti  con il secchio della colla e la pennellessa legata ad un manico di scopa. Con consumata esperienza appiccichiamo i manifesti mortuari, (mi raccomando, senza grinze!). Fantano ci osserva dal posto di guida e fa cenni d’assenso. Dopo circa un paio d’ore abbiamo finito, ma prima della ricompensa dobbiamo portare le corone di fiori alla casa del defunto … Salutata con deferenza professionale l’addolorata Maria,  immacolata nella sua tenuta di vedova, Fantano si ferma un momento di fronte alla bara, e fa scorrere il suo sguardo professionale sull’insieme. Sembra tutto a posto, pensa soddisfatto… è quello cos’è? Una piccola crosticina scura sulla superficie lucida e intonsa della bara, una cacchetta di mosca… velocemente estrae un piccolo serramanico a lama ricurva e lavora per rimuovere la zozzeria … prima di richiudere la roncoletta ne approfitta per grattare del muco secco sotto il naso del morto… 
Ed eccoci finalmente al bar per la ricompensa! Ordino una menta e un pezzo di torta, Piaghetti una gazzosa e una Fiesta Ferrero.  – Abbiamo solo quelle formato famiglia – dice il barista. Fantano propone di dividersi in tre la Fiesta gigante, io rinuncio volentieri alla torta. “Siete stati bravi!” ci dice Fantano. “La prossima volta se vi va vi faccio confezionare le corone”. Il barista scarta la fiesta e si accinge a tagliare con una paletta da dolci poco adatta, Fantano lo ferma. – Lascia, faccio io! – Estrae il suo coltellino ricurvo, la sua temibile roncoletta, e divide la fiesta in tre parti… 

la notte, a letto, sveglio e con i crampi allo stomaco per la fame, penso alla fiesta e mi dico “avresti dovuto mangiarla!” 

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Ora come ora Filas è l’unico amico che ho… quando ho un problema me lo risolve sempre… è curioso come sia sempre presente… eppure non lo conosco affatto, anzi a volte lo sorprendo a guardarmi con una sorta di furore negli occhi, altre volte è scostante, offensivo, sarcastico, (ma l’ho visto anche commosso) Con lui mi sono lasciato andare diverse volte, come quando gli ho raccontato la volta che sono morto affogato. Ma avevo bevuto il vinaccio indiano, era la sera di quel vento gelido, mortale… la notte che lucifero cadde in North carolina…

innesco: adolescente, in riva al fiume che attraversa il paese, tuffo nell’acqua alta, (si tocca lì? Sì. Non era vero…). Non trovo terra sotto i piedi e vado giù. Lotto per risalire, ma non ci riesco, le forze mi mancano, l’aria è finita. Mi lascio andare, dopo la lotta è una sensazione di assoluta pace. Annego (e la vita non mi scorre tutta davanti, ma è interamente presente nell’attimo… ho zoomato una porzione infinitesimale… è risultata essere suor assuntina…).
Riapro gli occhi ed è sulla riva del fiume che rivedo di nuovo il mondo, ma non è più lo stesso mondo.
(“… quindi ora non sono affatto sicuro che questa non sia la vita dopo la morte…” – Rea al Monarca)

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È notte, cammino verso casa, dopo la curva tra la casa e il distributore mi fermo dietro un albero per pisciare; mi accingo alla delicata operazione quando vedo passare un bus dell’Atax. L’autista con gli occhiali neri, nonostante la notte, mi si intacca nel cervello come una visione…

Angelo – unico passeggero del mezzo – dorme con la testa appoggiata al tubo verticale nei pressi dell’uscita centrale, cullato dal movimento dolce e dal suono ipnotico dell’autobus. L’autista lo spia dallo specchio retrovisore. Sul pezzo di strada dritta dopo il distributore l’autista accelera fino alla velocità massima. La testa del vecchio va indietro, il corpo schiacciato sul sedile. Ma continua a dormire a bocca aperta. Pochi metri prima della fermata l’autista frena di colpo. Sento la frenata nella notte. La testa del vecchio, proiettata in avanti, sbatte violentemente contro il tubo di metallo. Sento un crack nel cervello. L’autista ferma il bus, apre la portiera centrale, prende il vecchio e lo deposita sul ciglio della strada; Angelo si lamenta, l’autista gli dice di non preoccuparsi, risale sul mezzo e riparte. Mi rialzo, torno indietro correndo. Trovo Angelo morente, piange come un bambino.

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Il ricordo corre al giorno in cui i quotidiani riportarono la notizia: era stato scoperto un congegno che annullava il potere dell’energia nucleare. Un annichilente. Si venne a sapere in seguito che la scoperta era stata fatta anni prima da un gruppo di scienziati (tutti morti) e coperta da segreto militare. Poi qualcuno aveva venduto la formula a un paese straniero… si era quindi scatenata una corsa all’armamento, escalation in questo caso provvidenziale per il genere umano! (ah ah ah ah!)

Ricordo anche cosa scrisse V.: dicono che dentro al cuore fu trovato il seme della bomba nucleare…

Il bunker circolare…
Il tizio ha adattato un vecchio cesso di plastica da cantiere: prima di coricarsi lo ruota in posizione orizzontale… – non male, ma il fortino in cemento armato della seconda guerra mondiale, sul lungomare, a Fregene, mi sembra più comodo… alla fine scelgo il bunker circolare alla Conigliera di Caprera… un Pantheon in miniatura… in prossimità del parco giochi per bambini, deserto…
Ma prima di venire qui chi eri? O cosa? –
Domande che posso fare nell’unico posto dove trovo un po’ di pace, una panchina sul lungomare, a osservare i traghetti che vanno e vengono… tutto il mondo si muove con loro.

La pista “Casalotti” (– lo scaltro venditore sta per rifilarmi  – “per una miseria!” –  una vecchia cadillac senza ruote  lunga diversi metri, accarezzo l’idea di poter vivere all’interno della vettura, ma la posizione incurvata mi fa desistere…) contratto l’acquisto del gabbiotto…

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Concorso di pesca sportiva

Il “concorso annuale di pesca sportiva” che Filas organizza per ragioni burocratiche è una competizione in due giorni, selezione durissima fatta al Bar delle Sirene direttamente da Filas, max 12 partecipanti, niente esche artificiali. E la lotta inizia tempo prima, con l’allevamento di esche vive, vermi di rimini, bibi, lombriconi, koreani, vermi tubo giganti, alvinelle pompeyana… ognuno ha la sua brava, infallibile ricetta… bisogna resistere alla tentazione di mangiarle…
La selezione consiste nel sottoporre un oggetto a Filas: lui è seduto come un re sul trono nello stanzone del Bar delle Sirene svuotato per l’occasione, gli aspiranti partecipanti in processione gli si fermano davanti uno alla volta, gli porgono l’oggetto; lui osserva, soppesa, rigira, infine lo rende al proprietario che lo sistema sul pavimento ed esce.
Finita la processione il bar viene chiuso per un’ora, passata la quale le persone rientrano sperando di non trovare il proprio oggetto: è quello il segno che sei stato scelto per la gara… gli altri si consolano tentando il baratto (lista oggetti scartati: bollitore marino semindustriale da riparare,)…
Partecipanti e oggetti:
X.: vasca deprivazione sensoriale (inclusa la soluzione di acqua e sali Epson, è fuori dal bar…)
Gratè: 3 mesi di servizio a ore (in cucina)
Catopia: un gommone da riparare
Cinese: un ma-jong usato ma completo (molto ambito, altrimenti il cinese avrebbe preso solo calci nel culo)
Il Toscano: cotechini di cinghiale (una vera rarità)
Don Gerla.: 10 litri di vino indiano (per qualche tempo dirà messa con acqua e aceto)
Tramontani: tuta sub (da riparare)
Io: 3 racconti originali e 2 cambi d’olio (aveva detto: ti iscrivo d’ufficio…)

Quando si avvicina la data a Infernetto non si parla d’altro, tutti agognano al privilegio… anche perché ci sono in palio, oltre alla metà del pesce che si riesce a pescare – l’altra metà è retaggio, manco a dirlo, di Filas – vino, generi alimentari, e soprattutto il diritto a tre giorni di pesca nel laghetto in compagnia di Filas e del suo mastino….
D’altra parte pescare in mare non ne vale la pena… manco una fritturina di paranza… una volta ci ho provato …” ma questo mare è vuoto!” …

Anche la gara nella gara per la scelta della postazione è avvincente…
Per l’occasione vengono aperti i vecchi magazzini, dove si possono trovare abiti da lavoro di tutti i tipi, dallo strillone al medico chirurgo…(MAS) – Il vecchio XXXX, che gestisce il deposito, sprizza contentezza da tutti i pori…

“Perché questa pagliacciata?” – “Quest’occasione racchiude natale, pasqua, la festa del santo patrono e qualunque altra festa… 3 giorni di divertimenti e pazzia contro 362 giorni di vita dura…”

Stacco il contenitore VESTA dall’alloggio in mezzo alle gambe, ci poggio su una piccola bustina di ami, lo ricolloco.

Scene gara pesca sportiva
Gratè è l’unica partecipante di sesso femminile, ed è piuttosto bella – nonostante la pelle cotta dal sole – con i capelli incolti che rosseggiano sulla tuta verde da giardiniere.
“In passato Filas ha avuto un atteggiamento di totale chiusura con le donne, lui dice perché beccate a usare esche confezionate con sangue mestruale! Con Gratè però è bendisposto: a parte il fatto che prepara la migliore cozza finta della zona, alleva con un certo successo una sorta di lombricone in un ammasso putrido di erba di palude, alghe, feci e chissà cos’altro… ed è in menopausa… “
Il Signor Catopia indossa un impeccabile completo da maitre. La sua attrezzatura consiste in una pesante canna per pesca d’altura.
Filas, come al solito, è in tenuta da trasportatore di carni, con maglione a collo alto, camice bianco e stivali di gomma. Pesca a fondo
Lin, il cinese della bettola, è addobbato da pasticcere.
Don Gerla è compresso in un completo da fattorino rosso.
Tramontani veste una divisa da operaio della società elettrica…
Turris ha una tuta da imbianchino
Bavala è un capitano di lungo corso
“E quello da dove sbuca fuori?” – chiedo a Filas accennando a un tizio (somiglia alla lontana a Filas) che indossa una uniforme da cerimonia dei carabinieri. “E’ uno sconosciuto, ma si è presentato con l’intenzione di partecipare alla gara” – “In cambio di…?” Filas sorride ma non risponde.

Il giorno seguente, con addosso un camice da infermiere, sotto lo sguardo stupito di Filas, sto per vincere la gara di pesca a fondo senza usare esche, ma verso la fine il cinese, con la sua esca segreta pesca una santiddio d’orata che mi ero fatto scappare per la fretta; il pescione era riuscito con un guizzo a farlo cadere in acqua ma lui non ha mollato la canna e quando è riemerso teneva la bestiona per le branchie… ha usato il copricapo da cuoco come un retino, ma l’orata ci stava dentro a metà.
Filas non è stato contento. – “Questi cazzo di cinesi sono capaci di svuotarmi il lago!”.

A malincuore ha diviso l’orata a metà, dopo aver tentato invano di convincere il cinese a fare uno scambio con pesci più piccoli…”…con i pesci più piccoli si hanno meno rischi di Anisakis, i vermi parassiti” – “Noi cuociamo e mangiamo anche quelli”- gli ha risposto il cinese…

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Il deposito dei manuali
Una giovane dall’aria tisica vive in uno scantinato e passa il tempo a leggere i manuali più disparati, ma tutti su pochi argomenti, mare, pesca, pesci… Sopravvive perché ogni tanto qualcuno va a cercarla per ottenere informazioni… soprattutto Filas (in effetti è stato lui ad indirizzarmi… vai dalla Sorapica, mi ha detto… )
I manuali sono rari… e solo lei sa decifrarli
Lista manuali (es.: manuale per la costruzione di piscine, elementi di maricoltura, cucinare con la pentola a pressione…)

Al suo cospetto. “Sei tu la custode dei manuali?” – “Si”. So che devo avere con me un dono, gli allungo il sacchetto con la mia razione di carrube*, e lei infila la mano dentro, è soddisfatta, sorride, ha un che di infantile… e sento in questo un’affinità…
– Mi guardo intorno, cataste di libri dappertutto – “Sei l’unica che non ha bisogno del cielo sulla testa” – “ il cielo è dentro…”
LEI è una non vedente. E’ un pensiero velocissimo, subliminale, mi resta solo “LEI” … lei chi, mi domando.
Peccato non poterla guardare negli occhi… Se ti guardassi, rischierei di bucarti l’universo! Ma la custode questo lo sa, e non toglie mai i suoi occhiali da sole… non sarà stata lei a bucare il mio, d’universo… sotto altre forme… per esempio due occhi neri che ti sorridono dalla fessura del pavimento del portoncino di legno dipinto di piazza C. …

“Sai niente sulla linea laterale?” – “In cambio di cosa? Non puoi ancora avere niente per me” “Non potresti farmi credito?” “Dipende…”
Sparo la mia cartuccia:
“noi tutti viviamo qualcosa di diverso da ciò che siamo”.
Qualche effetto l’ottengo, perché lei apre la bocca e recita meccanicamente: “… Le cellule ciliari presenti nei neuromasti della linea laterale sono simili a quelle presenti nell’orecchio interno dei vertebrati e ne lasciano presumere un’origine comune… Pensi ti possa essere utile ciò che ho detto? Quando ho sentito la tua voce mi è sembrata di riconoscerla… Ascolta: Una volta ho stampato un libro con inchiostro a rilievo, ed è risultato utilissimo per i non vedenti… nessuno ci aveva mai pensato prima… ho ricevuto una medaglia dal presidente della repubblica in persona…”
CONTINUA –
Vado via con un manuale: elementi di maricoltura…

*) La carrube – alimento principe – utilizzabile in mille modi differenti
I gusci delle cozze (scambiati per essere serviti a tavola, ripieni di finta cozza(*), usati, lavati, riusati… rari da trovare, ma non quanto i gusci di ostrica…)

Ricetta della finta cozza: pane di farina di ghiande o di carrube raffermo, interiora di pesce essiccate, alghe, uova di piccione, pomodoro secco( in assenza, succo di bacche rosse), peperoncino, acqua di mare bollita e filtrata…

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Un camion che ha preso male la curva si rovescia a un centinaio di metri dal distributore. Afferro l’estintore e corro a spegnere un principio d’incendio. Il carico – scatole di scarpe da ginnastica di fabbricazione cinese, in parte carbonizzate – è sparpagliato sulla carreggiata. Si ferma una vettura, un signore anziano in bicicletta con tuta sportiva aderente, due contadine, una il cesto sulla testa, un orientale, altri da lontano… in poco tempo la pompa si trasforma in una sagra paesana multirazziale… il primo è stato il ciclista, è sceso dalla bici, ha afferrato un paio di scarpe integre fuoriuscite da una scatola, ne ha misurato una, ok, ha infilato anche l’altra, ha buttato le vecchie. Dopo è stato un piglia piglia generale, e baratti, scambi di scarpe (“ho due destre numero 40 e una sinistra rossa spuria… tu che hai?”). 

L’autista del camion, tale Volin, illeso ma intontito, è seduto sul paracarro con un bicchiere di vino indiano kamasutra che qualcuno gli ha messo in mano; assiste alla scena distaccato… io vicino a lui… guardiamo in camera… (“sono sicuro di averti già visto da qualche parte”, mi dice…) Scambio di battute con Volin per il vino indiano imbevibile, “e tu, non hai trovato niente per te?” … si alza, fruga nella cabina rovesciata del camion, tira fuori una scatola in perfette condizioni. “Queste dovrebbero andarti bene”. Apro la scatola: un paio di leggerissime calzature cinesi. Nere. Numero 45. Perfette. Ma sono per il kung-fu, gli dico… “già, già”, risponde, e mi strizza l’occhio. 

Nemmeno io lo lascio a mani vuote: gli racconto l’aneddoto dei fratelli e delle scarpe. Continua

(M. F. Erminia)

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Armeggio per chiudere la pompa nel mezzo di un acquazzone, ho già piazzato il cartello “chiuso” quando vengo interrotto da urla, lamenti, latrati feroci: è King che ha azzannato un cinese e strattona con forza; intervengo, urlo al cane di mollare, lui molla il cinese e assale me. Mi difendo con i denti…  

Filas è alle prese con la riparazione del fondo di un vecchio canotto. Tergiverso, ma alla fine devo dirgli di King…

Filas ferma l’Ape sotto il distributore e smonta – Dov’è? – Lo porto dietro la pompa: ho gettato il corpo senza vita del cane nel bidone “Elf”. La ferita alla gola ha un aspetto orribile, distolgo lo sguardo. Quando Filas riparte col carico non ci diciamo niente.

Entro al Bar delle Sirene, nel vocio generale catturo un suono, “King”, poi si fa silenzio. Elemo* mi guarda con un mezzo sorriso ebete stampato sulla faccia, mi chiede impacciato cosa voglio bere. “Mi puoi fare una centrifuga di carote e mele?” – “Solo carote”… Ricomincia un vocio indistinto nel locale, sguardi tra l’ammirato e il preoccupato…
(*) Elemo è il gestore del bar delle Sirene; una volta menò ad un forestiero perchè pretendeva di barattare una piccola tela firmata e autenticata di Guttuso con un boccale di birra … “ancora con questa cazzo di Arte!” urlava mentre scaricava botte da orbi sul povero malcapitato…

 

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La farmacia del vaticano

Mostro la ricetta alle guardie svizzere, mi fanno passare; vengo poi bloccato da un tizio in borghese alto e secco che mi porta in una piccola stanzetta, ha in mano i miei documenti, li controlla, mi dice che per ragioni di sicurezza non posso accedere. Perché? Se ne vada!

Scrivo una lettera di reclamo indirizzata al Papa e la consegno ad una guardia svizzera.

Una mattina mi prelevano all’uscita del bar sotto casa – Monsignor BXXX la sta aspettando! – 

Il prelato mi riceve sorridente e amichevole nel suo studio, le guardie del corpo restano a tiro – Prego, si sieda li – – Anche lui si siede, mi guarda con un sguardo levigato da anni di utilizzo – Perché mi ha fatto convocare qua? – – Lei è una persona intelligente, però mi sembra un po’ confusa – Mi mostra la lettera di reclamo – e da persona intelligente capirà che è molto difficile indirizzare un reclamo al Papa ed illudersi che il papa trovi il tempo di leggerlo. Perché sorride? –  – Penso all’Imperatore che dal suo letto di morte manda un messaggio al più basso dei suoi sudditi, e questi sa che il messaggero non arriverà mai a lui, eppure tutte le sere lo aspetta alla finestra… – Il Cardinale rimane a fissarmi con un’espressione enigmatica – A volte il messaggio arriva -.   Da un cassetto della scrivania estrae una lettera chiusa con un sigillo rosso, di ceralacca. – Ed eccole la risposta scritta direttamente da Sua Santità – Sta per mettermi la lettera tra le mani, la ritira – Spero che la sua intelligenza l’aiuti a superare la confusione ed a mettere a frutto questa opportunità… miracolosa. Come vede non c’è la stampa, non è un gesto di propaganda, ma un’iniziativa spontanea del Santo Padre… ma lei se lo ritiene può renderla pubblica.  – Mi consegna la lettera. 

Chiuso nel cesso del bar, ho la lettera in mano, la guardo e la riguardo, stacco infine, delicatamente, cercando di non romperlo, il sigillo di ceralacca e lo infilo in tasca. Strappo la busta a metà, senza aprirla, e di nuovo a metà. Butto i pezzi nel water, tiro lo sciacquone.

Esco dal cesso e li trovo tutti lì ad aspettarmi, nello stanzone del Bar delle Sirene… mi pago la bevuta con il sigillo papale…

Turris non sta nella pelle, fissa ipnotizzato il sigillo rosso – “incredibile! Un autentico sigillo papale! E’ MIO!” Più tardi, dopo aver messo il sigillo al sicuro, mi offre da bere. Turris prende la cosa alla larga, ma alla fine mi fa la domanda che mi aspettavo. – “Che ti mandava a dire il Papa?” – 

Mi avvio senza rispondere sotto il cono di luce e racconto la storia dell’anziano e disincantato ebreo orafo che, per ottenere una commessa dal Vaticano (il restauro di un antico crocifisso di 7 chili di oro massiccio), è costretto a lavorare di notte nel suo laboratorio a Monti per realizzare un anello di valore, un regalo per la comunione della nipotina del cardinale xxx ( “la mia nipotina è grassoccia, domani le farò avere le misure dell’indice”…). Il giorno dell’inaugurazione viene invitato, e incontra il cardinale aggrappato ad una sorcona che, toh, porta al dito l’anello, e gli sta benissimo. Parlano leggeri, la lingua sciolta dai cocktails, il cardinale fa i complimenti all’orafo, che pensa “per il crocefisso o per l’anello?”. L’orafo prende coraggio, non ce la fa a stare zitto, e abbassando  la voce dice “cardinale, complimenti per la nipotina”. E il cardinale, a voce alta: “Tu, ebreo, devi farti i cazzi tuoi”

Finita la storia Filas mi si avvicina – “stai perdendo colpi”. –  “Tu dici che questa storia non vale una bevuta?” –

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 E tu chi sei? O cosa? Si sorprende a ripetersi questa frase come una cantilena.

Una volta salva tutto in extremis… nel frattempo hanno risvegliato A.. “Perché?” – chiede A.. – “Tutto a posto. E’ stato un errore”, risponde XXX… A. lo guarda con ogni sognanti “ Ho capito finalmente cosa stiamo facendo…” A. si riaddormenta…

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Sono le due del pomeriggio, l’afa estiva campeggia in quella controra, e dal deserto liquido dell’orizzonte vedo apparire il bus guidato dall’autista con gli occhiali neri entrare nell’area del distributore con una gomma sgonfia… (la mia macumba ha funzionato su di te, pezzo di merda.)
L’autista scende dalla vettura e mi chiede gentilmente se gli posso dare una mano.
Aiuto in silenzio l’autista a gonfiare la gomma, ma quando abbiamo finito mi raddrizzo e gli dico “So quello che hai fatto ad Angelo” – Lui mi fissa con uno sguardo che gli occhiali scuri rendono impenetrabile… – “non aveva cognome” – L’autista è grande e grosso e di sicuro mena forte… ma il vecchio che piange è un ricordo insopportabile. “non qui” – “E dove?” fa lui con un ghigno sulla faccia, interpretando la mia risposta come un vigliacco tentativo di evitare lo scontro – “qui dietro”. Mi volto e faccio due passi, e subito mi sento colpire alla nuca… quell’infame vuole cogliermi di sorpresa, ma me l’aspettavo, e il mio “chisao” funziona a dovere… accompagno con la testa la traiettoria del pugno e quando arriva a segno è un colpo debole, una carezza… mi volto, fluido e veloce come un ballerino e sono già al suo fianco, in un’area neutra, una zona morta… Bo Lay Ying, posizione invisibile… e tocca a me…

La fermata atax viene soppressa (2 operai, lenti e disincantati, smontano la palina, la caricano sul camioncino e ripartono)…  pochi giorni dopo al suo posto appare un “mammozzo” genere distributore con uno schermo che quando ti ci fermi davanti si accende e risponde alle tue domande… ma si guasta presto…

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 Bella notte d’estate. Dormo alla pompa. Al mattino tantissima gente accampata tutt’intorno… 

Notte dei poeti: fricchettoni, pentolone sul fuoco di campo, bongo, chitarre, casino, di tanto in tanto qualcuno sale sul palchetto e declama la SUA poesia… Cavallo presenta, lieeevemente alticcio… è il re dei poeti… “… ed ora facite silenzio… ed ecco a voi, direttamente da Parigi… Pascal Teveny (R.I.P.)!  Nove pesci blu”

( lacrime di fusillo)

Pentolone, minestrone contro poesia… nel finale crollo del palco (documentazione in vhs)…

FIRST INTERNATIONAL FESTIVAL OF THE POETS   Roma – Castelporziano 28-29-30 giugno 1979

USA  Allen Ginsberg, William Burroughs, Amiri Baraka (Le Roi Jones), Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, Peter Orlowski, John Giorno, Anne Waldmann, Ted Berrigan, Ted Joans, Miguel Algarin, Diane Di Prima
URSS  Evgeni Evtuscenco, Egor Issaev, Aserbagiano Curciali, Ludmilla Scipachina,
ENGLAND  George Baker, David Gascoyne,
IRELAND  Desmond O’Grady
RFT  Erich Fried, Gerald Bisinger, Johannes Schenke, Volker von Thorne
FRANCE   Jaqueline Risset, Marcelin Pleynet, Jaques Roubaud, Jean Pierre Faye, Gerard George Lemaire, Denis Roche
VENEZUELA  Enrique Hernandez D’Jesus
ARGENTINA  Osvaldo Soriano
GRECIA  Stavros Tornes, Tomas Gorpas
ITALIA  Ignazio Buttitta, Elio Pagliarani, Alfredo Giuliani, Maria Luisa Spaziani, Amelia Rosselli, Dacia Maraini, Antonio Porta, Sebastiano Vassalli, Dario Bellezza, Valentino Zeichen, Giuseppe Conte, Renzo Paris, Giorgio Manacorda, Nico Orengo, Maurizio Cucchi, Cesare Viviani, Corrado Costa, Aldo Piromalli, Patrizia Bettini, Ivano Urban, Alberto Gasparri.

Promotori e organizzatori: Simone Carella, Ulisse Benedetti, Mario Romano, Franco Cordelli, Giles Wright.

Collaboratori: Enrica Patrizi, Dino Giacalone, Marcello Sambati, Giovanni Zanon, Alessandro Figurelli, Aliki, Rossella Orecchio, Anna Antonelli, Giuseppe Basile, Roberto De Angelis (R.I.P.), Victor Cavallo (R.I.P.), Pupo, Paola Febbraro (R.I.P.), Cristina Delogu, Maria Paola, Demetrio Giordani, Fabrizia Baldissera, Delfina Bezzoli. 

ASSOCIAZIONE CULTURALE TEATRO BEAT72, ROMA – ASSESSORATO ALLA CULTURA DEL COMUNE DI ROMA – ASSESSORATO ALLA PUBBLICA ISTRUZIONE PROVINCIA DI ROMA – GUIDA POETICA ITALIANA – AUTOBUS – SOCIETA’ DI POESIA

SPIAGGIA DI CASTEL PORZIANO 28 – 29 – 30 GIUGNO 1979

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Fu fatto un lavoro più serio della pioggia.

e apparvero ponti dovunque attraversamenti
un ventaccio sparpagliò il giornale come fosse
un corpo
infine all’incrocio si calmò la rabbia
( era come sempre se avessi perso l’elmo inutilmente)
( senza battaglia solo il tramonto che diventa
scuro )
Fu fatto un lavoro che non era voce nè silenzio
era la radice cubica di un film mai girato.
lo accantonammo accanto al cherri brandy
alle patate e a Allah

Victor Cavallo – da un quadernetto spaginato (non databile)

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 Altre trame

Il benzinaro (padre e figlio)

battute (qualche)
gramsci: pessimismo della ragione ottimismo della volontà (ripetuto)
benzinaro: sì ma la benzina che è?
benzinaro: ma agostino perchè s’è ammazzato? agostino… agostino… (con un calciatore es. d’amico)

dialoghi tra padre e figlio uomo ragazzo

fica che cerca di lavarsi si scopa il figlio

che hai fatto ai denti?
so’ cascato dal motorino
mi piaci (cazzo in mano) clackson di macchina che arriva
voce padre Vado io Vado io

lavoriamo qui perchè poi vogliamo andare in australia
e poi?
poi moriamo

trama
un benzinaio localizzato barbarico in sporche tute canotte blù
paolo panelli franco interlenghi francesco totti nela anita ekberg
l’idraulico di via del gonfalone, i morti, pagliarani evtushenko gramsci
(uno che somiglia a gramsci esisterà al forlanini o in india)
trama
ognuno parla es. cesare pavese la palla la birra (lui e il figlio)

paolo morelli luciana franco citti robertino un ginecologo

tra queste parole (natural) città corrosa

eh tu città alternativa non eri che il bordello accanto al lager
(già è qualcosa)
per es. è mattina oggi è oggi ieri è ieri domani è domani
poi c’è dopodomani martedì la cura degli zoccoli morbidi e l’amore
per le zoccole col rossetto
fossero un materassetto le parole mi ci addormirebbe sopra
e sognerei non lo so
confesso di essere solo e basta.

Victor Cavallo (fedelmente riportato da due dattiloscritti)

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 “Ti cercano!”

2 tizi faccia brutta completo scuro camicie bianche uno in guanti di lattice e in mano un piccolo contenitore in materiale plastico simile a quelli per il trasporto d’organi, l’altro con una valigetta semirigida dalla quale estrae un taser a contatto e ci aggancia un Mirino laser. 
– “E’ lei  XXX?” – “Perché?” – “E’ lui”. L’altro non so come mi scarica addosso la corrente ad alto voltaggio del paralizzatore. “Tienilo stretto. Non si sa mai con chi si ha a che fare… Lei, caro signore, non ha pagato le ultime tre rate dell’impianto che ha in bocca e che appartiene, quindi, alla Dentalsmart come da contratto”
Inseriscono il devaricatore usa e getta, smontano l’impianto con un minigiravite elettronico, lo chiudono nel contenitore e se ne vanno. Mi hanno lasciato il devaricatore inserito come souvenir. Fortuna che era l’arcata inferiore… pazienza… se mai riuscirò a riavere un’arcata spero solo che non appartenga ad un vecchio bavoso. Curiosa la natura… ti fa ricrescere le unghie dei piedi ma non i denti… forse perché ad una certa età non dovrebbero più servire…

In un altro continuum l’effetto tunnel mostra l’orribile protesi chiusa in un piccolo contenitore trasparente, illuminata dalla fredda luce del riunito: interno annerito, vecchio cemento, pontefix, spunzoni metallici… – “La inserisco nel mio personale museo degli orrori” (se qualcuno di voi ha voglia di visite culturali…)

Quando viene azionato, il taser proietta due piccoli dardi collegati tramite dei fili elettrici al resto del dispositivo, il quale produce una scarica ad alta tensione e bassa intensità di corrente, rilasciata in brevissimi impulsi. Entrambi i dardi devono colpire il bersaglio con traiettorie non parallele ma non è necessario che attraversino i vestiti.
Con un escamotage qualcuno è riuscito a far passare il taser come “dispositivo di difesa”… non è un’arma… ma una volta apparso in scena, prima o poi il taser entra in azione… non sei più lo stesso quando ti riprendi… oppure è tutto il resto a non essere lo stesso…

adesso i denti mi ricrescono su quelli che cadono, come i coccodrilli, o gli squali

continua

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 … un piccolissimo fuoco che galleggia all’interno di un contenitore trasparente, fissato con niente tra l’inguine destro e il relativo testicolo. Al tatto è morbido, con la pressione delle dita sembra deformarsi, ma torna subito compatto. In un angolo, in rilievo, minuscoli caratteri d’oro new Roman: “VESTA” …

Quando viene perquisito a fondo: (una mano con guanto di lattice tasta il contenitore) “Qui che abbiamo?” – “E’ una protesi della placca motrice… rilascia acetilcolina per far contrarre il muscolo… un vecchio incidente…” – Il funzionario si avvicina al contenitore per leggere meglio “… VESTA… Stavi per lasciarci una palla, eh? Accidenti, scotta!” – “E’ alimentata con una piccola batteria al cobalto…”. Il funzionario “vede” davvero una protesi…

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Eccomi finalmente dentro l’Orchidea (non c’ero mai stato), un grande unico locale, con una poltrona che sembra un trono, un pianoforte a coda, un camino in piena attività, sopra il camino un bassorilievo raffigurante Mitra che uccide il toro… di tanto in tanto spunta la luna sul tetto e l’effetto è straniante… Intanto beviamo, mi offre del pesce arrosto che rifiuto, mi suona un virtuoso pezzo al pianoforte, rivanghiamo il passato, gli episodi comuni eccetera. Filas fa di tutto per convincermi a lasciar perdere (quando mai si sono visti gli Elfi a Infernetto?). Ma qui siamo a Marginetto! Sei confuso, mi dice. Mezzo ubriaco gli prometto di tornarmene a casa; lui mi scorta giù, mi cinge il collo con un braccio, ne sono intimamente infastidito. 

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L’ora dell’appuntamento è passata da un pezzo, faccio notare. – Meglio così! – mi fa Filas – meglio non mischiarsi con certe cose -. Il vento spazza via le nuvole, appare la luna piena: la sua luce intensa colpisce il viso di Filas… è diverso, sconosciuto… anche le mani, non avevo mai fatto caso a quanto fossero pelose. Mi stacco barcollando dalla sua morsa e cado in ginocchio, lui mi guarda attento. – C’è qualcosa che non va? – La voce mi arriva dura, autoritaria. 

“…così per terra la sua figura mi appare immensa e copre quasi tutta la visuale, tranne che sulla sua spalla sinistra, dove splende una grossa porzione di LUNA PIENA. E lui, come mi vedrà lui, penso con la testa annebbiata dall’alcool e la nausea che sale intermittente… continua

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La Crysomallon squamiferum è una specie di lumaca “corazzata” con scaglie composte da ferro e materiali organici, in grado di resistere a temperature fino a 80 °C.. Mi sono figurato la cotta metallica di Filas realizzata con queste minuscole lumache metalliche:

Un sacco pieno di Crysomallon grosse come l’unghia del mignolo passa di mano, scambiato con un sacco altrettanto pieno di Alvinella pompejana, …”basteranno per confezionare una bella cotta metallica!” 

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… Un sogno. Solo un sogno da accantonare. Il laghetto è una grossa buca piena di fango, ma io galleggio su chiare acque sdraiato su un pattino rosso da salvataggio… una lenza che si perde sul fondo, sento un tocco sulle dita, strattono, è pesante, tiro su a due mani…  

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l’interno del gabbiotto è abitato da qualcuno, una roulotte senza ruote. Cento morti cento vite. Le rivive tutte, ma sull’autobus adesso c’è uno giovane. Sdraiato sui sedili in pelle bianca della Cadillac guardo attraverso i vetri anneriti…

Al distributore si ferma una vettura, l’uomo al volante aziona il clacson, scende, si guarda intorno… nessuno. Risale in macchina sbattendo la portiera e riparte sgommando… 

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 Arcipelago (Il vaso con l’elicriso)

“Amore, vieni a vedere da questa parte. È bellissimo qui. Le Capsule iniziano la rotazione …” (… che, si ritrovava sempre a pensare, se non avesse detto quelle  parole, l’ascensione non sarebbe avvenuta…)

Lui vorrebbe dire qualcosa ma rimane in silenzio. Mentre scendono dalla collina lei si ferma di nuovo e si volta a guardare le capsule, che ora sono in posizione orizzontale. Il tramonto incendia le calotte plastiche. Lo guarda – “Mi hanno presa nel Programma” – Abbassa lo sguardo – “Non sapevo come dirtelo.” – Lui la scruta attentamente, poi distoglie lo sguardo – “Hanno preso anche me”. – Non era vero… ma aderisce anche lui ai cinque anni di capsula…

(5 anni dopo lei va ad aspettarlo, ma lui ha rinnovato… è costretta a rinnovare anche lei…)

Secondo quinquennio: i cinque anni precedenti gli sono almeno serviti a capire che un modo c’è – ci deve essere! – per stabilire un contatto… come una pazza vaga nei meandri della memoria centrale, un viaggio allucinato, un labirinto informe…

“All’interno della capsula si perde la coscienza del respiro… è come se a respirare fosse qualcun altro…”

scaviccio

 

All’interno della capsula si perde la coscienza del respiro… è come se a respirare fosse qualcun altro…

Cala Gavetta

Solito tè caldo con cannolo, le bandierine mosse dal vento di ovest, sguardi laterali dei passanti – abbasso il mio, come mi è stato consigliato di fare – ma presto rimetto tutto a fuoco, i pescherecci, le caustiche di Cala Gavetta, palme e tetti, muretti sbreccolati, sciallino 33, la perla blu, un pezzetto di casa Squarciò con le persiane chiuse… non è tempo di frequentazioni voci dentro sussurrano futuri possibili, dinamismi e ritorni, “da nessuna parte il mio greve, stringente scompiglio”… E’ questo il reale? Il possibile? Ho bisogno di respirare…

continua

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L’isolotto della paura, vista sulla rada di mezzo schifo

“Calando l’ancora, non ho potuto fare a meno di notare la superficie dell’acqua: sintetica… ho riconosciuto subito le caustiche generate dal programma 6-D. Certo, l’ancora si è inabissata correttamente, spruzzi, suoni, cima che si srotola e tutto il resto. Un pensiero mi ha attraversato la mente: pensando alle tue paure, alle tue reazioni quando vengono pronunciate certe parole… come dici tu, non esistono guru (e già arrivare a dire questo vuol dire essere un po’ guru… come rivelare una verità a qualcuno che non la capisce… l’iniziazione…) Se sei tu a pronunciare certe parole, sono io che adesso avverto una sottile, incontrollata ansia… e non posso fare a meno di pensare che ORA io stia perdendo del tempo prezioso… e vorrei portarti a Punta Rossa, a Caprera, quando le farfalle sono così numerose da provocare un suono quasi assordante, un suono inconsueto, rivelatore… ma tu vedi solo Marginetto!”

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Bocche di Bonifacio

Interno Bar delle Sirene

In piedi, immobile, in penombra, dietro una tenda di pesante velluto che una volta doveva essere bordeaux, aspetto… Al piccolo cenno col mento di Elemo(*) mi animo, guadagno la pedana e mi accomodo sul trespolo illuminato dal riflettore. Aspiro due boccate dalla cicca pendula, focalizzo lo sguardo sul nulla e racconto: “I remi… Un pò di tempo fa, quando le cose non erano ancora cambiate, ho attraversato le Bocche di Bonifacio con due genovesi conosciuti la sera prima allo Sporting, ospite sul loro  gommone noleggiato alla Sea Adventures di La Maddalena… Mi erano sembrati simpatici, ci raccontavamo le nostre esperienze di pesca… ma il giorno seguente si sono presentati con mezz’ora di ritardo e avevano la faccia livida e incarognita  di chi ha passato una pessima nottata. Certo a quell’ora l’idea della battuta di pesca non sembrava più tanto buona, ma oramai si era in ballo… Non sorvolo sulle risatine che si sono scambiati quando ho preteso il giubbotto salvagente… sapete… non nuoto… Il più anziano si è quasi offeso… la presunzione di avere potere sul mare… Mi avevano proposto una traina a Lavezzi, ma a metà percorso, dopo aver parlottato fra di loro di sfighe e loro portatori sani, hanno deciso di lasciarmi a fare il turista all’isola dello Sperduto, in acque corse, adducendo non so più che scusa, e se ne sono andati a pesca rassicurandomi che sarebbero tornati dopo un paio d’ore. Quando li ho rivisti di ore ne erano passate cinque. Sono salito a bordo senza dire una parola, e neppure loro erano tanto loquaci: a mezza bocca hanno ammesso che no, non avevano preso nulla di nulla. Siamo ripartiti a manetta per rientrare a La Maddalena, ma a metà canale, con un mare formato dal maestrale, il motore tossicchia e si ferma, mentre il vento ci spinge verso l’isola di Razzoli. I due stordoliti non avevano calcolato bene il fabbisogno di carburante. Mi maledico, come ho fatto a fidarmi di questi due incapaci che ora se la stanno facendo sotto dalla paura! Ho preso in mano la situazione, abbiamo alzato il motore, io mi sono messo ai remi, mentre ho fatto scendere i due in acqua a spingere su un tubolare ciascuno. Ci sono state delle proteste ma ho alzato la voce e i due si sono chetati. Ogni tanto ne frustavo metaforicamente uno… sempre lui… faceva finta di spingere… me ne accorgevo perchè il gommone virava… poi ha vigliaccamente preteso di scambiare il posto… per me è stata dura, ho bevuto parecchio, ma lui è durato dieci minuti ai remi… Siamo arrivati al largo di Cala Francese che era notte, orientandoci con la macchia bianca di Casa Ferrigno a Spargi… cinque ore di lavori forzati… all’ultimo miglio credo di averli trascinati aggrappati ai tubolari… ci è venuta incontro una vedetta della Capitaneria per darci una mano, ma i due non mi sembravano contenti… ci hanno puntato un faro addosso e si sono accostati chiedendoci cosa fosse successo. Ho parlato io, riassumendo brevemente l’accaduto. “E non avete pescato nulla?” Ho risposto di no, ma i genovesi perduravano nel loro silenzio sospetto, e questo non ha insospettito solo me. A farla breve uno è salito a bordo e si è fatto aprire il gavone: traboccava di grossi pesci, dentici, cernie, tonnetti, e la famigerata e assolutamente vietata rete da pesca Barracuda… La storia finisce in Capitaneria, dove i due tentano di addossare a me la frode. Ma avevo il gps acceso che mi tracciava, ed ho potuto dimostrare che ero io a fare il Robinson Crusoe allo Sperduto! So che la multa è stata bella salata.”

Silenzio generale… poi un bisbiglio indistinto sale dai tavoli… la storia ha avuto successo… “… odiavo averli a bordo, prendono spazio su un gommone di 4 metri e 50… sono inutili, ho sempre raggiunto la costa a pinne tirandomelo dietro, con i remi neanche mi muovevo, per questo preferisco non averli a bordo!” “Allora devo prima imparare a nuotare””Certo se ne facevano di belle pescate, una volta…” “I remi servono eccome! soprattutto su un mezzo leggero come il gommone, bisogna imparare ad usarli, poi però sono molto efficaci.” “Ormai chi ci va più per mare! A intossicarsi…” “Facciamo una colletta e mandiamo uno di noi a pescare al lago di Philas… in questo momento mi farei bastare anche una lisca, la metterei in bocca a pezzi e la succhierei fino a scioglierla!”

(*) Elemo è il gestore del bar delle Sirene; una volta menò ad un forestiero perchè voleva barattare un boccale di birra con una piccola tela  firmata e autenticata di Guttuso… “ancora con questa cazzo di Arte!” urlava mentre scaricava botte da orbi sul povero malcapitato…

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Caprera (Le farfalle di Punta Rossa)

“… Accabbadda!” –  non riesco a smettere mare increspato fiocco rosa odore di carburante e salsedine e connaretti e quella volta al riparo dietro lo scoglio non eri eri tu? capelli sciolti il candore del corpo nudo sotto i raggi “calcolabili” del sole ho sentito le farfalle a punta rossa ero sconvolto da cotanto suono svolazzavano a centinaia ma un’isola è un’isola torni sempre da dove sei partito lo strangolato turco morto Arpaia due bordi la rada di mezzo schifo a Palau ragazzi in motorino che sventolano bandiere americane ero un ragazzino diciassettenne notti nei fortini militari abbandonati piazza comando che brutto nome molto meglio “melma, che bel nome per una donna” oppure in una stanza in penombra una parete dove appendere un quadro il letto sfatto la padreterna (*) perché adesso sono così inquieto sottile paura piazza comando proietto su di te cumuli di parole inadeguate maree di gesti scomposti ma ho cercato in tutti i modi di fare attenzione hai una formula una ricetta un farmaco una carezza una parola gentile per uno scapigliato a padre pio bisogna fare attenzione andare in pellegrinaggio fino alla statua in bronzo le stimmate le sacre reliquie non è peccato non lo capisco è il terzo millennio e ci trova impreparati che ne faremo delle nostre vite imposimate almeno tentiamo un via non locale “il mondo dietro a quello vero” e “la via che unisce” senza la quale la nostra condizione sarebbe senza speranza per me o tutto o niente assolutizzo altri si accontentano tran tran sveglia alle otto come va? buongiorno e buonasera il motore della macchina vento di libeccio niente totani/calamari e mai mi sarebbe venuto in mente non me lo sarei mai potuto figurare questo male interiore cicatrice vecchia di decenni ha un buon odore e mi ero dimenticato di lei so adesso che non mi hai abbandonato neppure per un istante

(*)
MAGGIO 1999
si sposta lentamente il cielo come nel letto una ragazza stanca
(come una padreterna profumata di rosa)

da “MARZO APRILE MAGGIO QUASI FINE GIUGNO” Vittorio Vitolo Victor Cavallo – Roma Piazza Vittorio 1999

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Dialogo con un’altra emanazione

“Chi sei? “Inizia sempre così, il suono della propria voce che rimbomba dentro lo spazio angusto della capsula, la voce di qualcun altro… prima che le immagini prendano il sopravvento sul pauroso nero. Pensieri che non mi appartengono, impressioni di infanzie passate, ricordi nitidi, non miei… Arriva sempre il punto in cui la mente (qualunque cosa ciò possa significare) – grazie anche al farmaco – accetta le percezioni come vere, sono vere, giacché non c’è nessuna differenza tra la realtà “sintetica” e quella “reale”. L’altra voce risponde, una voce che sembra scaturire dalla propria mente – dalla mia mente – e si stabilisce il contatto, le immagini si formano sempre più fluide, si fondono, a volte è una fusione di forme, a volte i colori… una ne richiama un’altra, e altre ancora: le luci di un traghetto nella notte, fugaci chiome nere, una coppia parlotta all’interno di una jeep metallizzata mentre fuori piove, le altre vetture parcheggiate a spina di pesce… spina di pesce, acuto dolore da tracina, il faro ai Monaci… una vela all’alba… tartaruga tra l’erba secca, la voce fluisce con le immagini, un tutt’uno… mani bollenti, sono le prime a vibrare. Il viso di donna in continua trasformazione, la tuta disindividuante di “un oscuro scrutare”, che ho letto, due volte… E’ sempre lei? pensa la seconda coscienza. I capelli piano piano si stabilizzano… è proprio lei! Presto il viso di donna scompare, al suo posto – nel collegio di monache stimmatine a Cassino, l’unico edificio rimasto in piedi dopo il bombardamento alleato – la brutta faccia di Schopenhauer, quella di Sade, padre pio, il sassarese Cossiga(boccibbabbusu, dicono nel cagliaritano) – anche in questo caso non sono sicuro che fosse proprio lui –  si curva e mi accarezza, piccolo bimbo cadaverico con un cappotto spigato troppo grande. – “Com’è che non sei ancora morto?” – Non lo dice, ma è come se… ho pensato anch’io la stessa cosa di lui! Di lei!

Le lacrime scorrono copiose. Perché dev’essere così? Non c’è qualche altro modo?

“E’ difficile credere che sei sempre tu!” dico infine alla sconosciuta.

continua 

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Sacro/Profano (Arpaia)

Il mito della sirena Parthenope  nasce dalla tradizione del popolo dei Cumani. Di certo si sa soltanto di una corsa con le fiaccole che ogni anno si compiva in suo onore (le cosiddette Lampadedromie). Leggenda vuole che la sirena sia morta nel luogo in cui oggi sorge Castel dell’Ovo, e proprio lì sia stata sepolta una dei patroni di Napoli

Una sera, al tramonto, i seguaci di Mitra trovano una sirena agonizzante sulla spiaggia. Si forma subito un capannello di persone incuriosite dall’evento. Mossi a compassione vorrebbero aiutarla ma non sanno come, e restano lì a guardarla in silenzio, tranne un tizio che tenta una respirazione bocca a bocca.
Qualcuno sottolinea che la sirena per metà è pesce, qualcun altro si indigna. La discussione si fa subito accesa.
Nel frattempo la sirena muore.
Un coltellaccio appare nella scena…
La sirena viene tagliata a metà, poi la coda a tranci.
In silenzio si dividono il bottino, anche colui che ha tentato di salvarla, e che all’inizio si era opposto al macabro banchetto, prende la sua parte e se ne torna a casa, dove lo aspetta la moglie –  “Metti l’acqua sul fuoco. Stasera pesce!” – 

Ho appena finito di raccontare quando un tizio irrompe nel bar – “Correte, c’è una sirena spiaggiata all’Arpaia!” – Escono tutti fuori precipitosamente. – Tu non vai?  – mi chiede l’unico rimasto.  – “Non sono un seguace di Mitra” – rispondo, e vado dietro il bancone e mi verso un’abbondante dose di vino, annoto la consumazione e torno a sedere sullo sgabello. L’altro esce piano piano…

continua

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 Vento, vento, vento… verso le tombe dei giganti, ci facciamo strada tra l’erba alta, in fila indiana, G. avanti, P. poco dietro. io e R. un po’ lontani, quasi affiancati… una pietra a forma di testa di tonno … Sugli scogli ci sparpagliamo e non parliamo più per un bel pezzo, ognuno a preparare l’insidia per i pesci…

“… il mare è pieno di pesci e di ricciole. Hai avuto fortuna e ne hai pescata una? L’hai mangiata? Ora devi cercare di prenderne un’altra!” – “Non ne ho nessuna intenzione!” 

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Spargi

… le parole segnano il confine tra la percezione dei colori del mare e il fenomeno… il riflesso del salvagente arancione danza sull’acqua, sentieri protettivi nel verde, il ruscello taglia la spiaggia, rari uccelli marini si tuffano nel turchese trasparente, gabbie per conigli, rustichini, mazze di tamburo giganti… la luce fa il suo lavoro… quando la vedi dal mare, in lontananza, strisce simili a smagliature che ami… Spargi… per anni solo un nome, un profilo catturato dalla Madonnetta… ora la sovrapposizione chiama in causa cantanti famose e relativo seguito, gente annoiata dal troppo, contesse viennesi (mosse dai fili della razza) che scendono da elicotteri… per una settimana o due finta vita selvaggia. Per ritrovarsi ed affrontare con rinnovato vigore le sfide della quotidianità… Annuisco, cerco di fare attenzione, ma lo sguardo liquido supera gli occhi dell’interlocutore, li scavalca, vorrebbe bucare la collinetta di granito e macchia mediterranea e arrivare alla grotta… alla piantina d’elicriso tormentata dal vento, orme all’ingresso, senso di fusione…

… il miglior aggeggio che avesse mai avuto, un assemblatore di realtà… e come sempre, tornano alla mente le prime immagini, l’isola, la spiaggia con il tronco portato dalla mareggiata, il molo solitario, l’abitazione bianca visibile da lontanissimo, rassicurante come un faro nella notte, la macchia selvaggia, una coppia di corvi reali… ma adesso, era più concentrato sul funzionamento e la possibilità di riprodurlo… ma come funziona un assemblatore di realtà?
… due cose riuscite bene : l’assenza di blatte e di esseri umani, tranne io, P., il Monarca, il Marinaio, Lucifero con prole…

… non ricordavo wittgenstein (li avevo dati tutti per spacciati, dopo feyerabend) e il suo approccio filosofico-fenomenologico alla teoria dei colori: “Che specie di proposizione è quella che dice che aggiungendo del bianco al colore se ne diminuisce la colorazione? Come io penso ciò, non può essere una frase della fisica. C’è la tentazione molto grande di credere ad una fenomenologia. Qualcosa fra la scienza e la logica”

– Devi sempre citare! Non puoi dirlo a parole tue? – Perché, le parole che usi tu sono le tue? Create da te? E tu, non indossi forse un vestito non tuo? – 

– I filosofi non sono più attuali, anche loro si sono dovuti arrendere di fronte alla natura non deterministica dell’universo –

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Il de-emarginatore

So di averlo da sempre, ma l’ho concretizzato davvero a Corcelli (che bel nome per un’isola!) … il resto è stato semplicemente “anamnesi”… c’erano pure altre istanze non contemplate, l’indaco che appare, emozioni e sensazioni, conquiste di siepi eccetera… ti volti e incontri uno sguardo perduto, senti quello sguardo appartenerti, percepisci l’onda mentale, e il demarginatore – mi scuserai se uso la forma contratta – è in funzione, sommessamente, garbatamente entangled…senza fine e per sempre.
Quella volta che non ha funzionato adeguatamente… la cicatrice di smalto pompava (*)… avrei dovuto tacere… -“perché scrivi?” – una nuvola nera copre l’azzurro… (ad un musicista non ti saresti mai sognata di chiedere perché suona (la prossima volta che rinasco esigerò un percorso musicale, voglio suonare il basso e il contrabbasso))… mi pare di avere già risposto a questa domanda… e tu, perché non lo fai?”…In ogni caso l’arcipelago si è rivelato fondamentale, La Presa, Razzoli, Punta Marginetto, le Bocche, motori marini, momenti non cancellabili… Spargi, fortini militari abbandonati, morti e perciò belli da vivere, almeno per una volta…
(*) Sulla poesia di Gottfried Benn] Chi vede in essa dell’estetismo mostra di aver compreso assai poco. In essa, invece, «si combatte col toro a distanza ravvicinata» – come scrive Benn nei Problemi della lirica che è un po’ il suo testamento spirituale –. Nelle occulte risonanze di questa poesia «monologica», così estraniata e conchiusa in una gelida sfera di cristallo, molti sono i terremoti silenziosi che si possono percepire. (Ferruccio Masini)

dilatazione della percezione sensoriale (de-emarginatore) – franco rea 2023

 

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Santo Stefano – leggerezza

A Santo Stefano, nella cala di Villamarina, in una vecchia cava di granito abbandonata, si trova incompiuto il busto di Costanzo Ciano, padre di Galeazzo, gerarca fascista. La statua era stata commissionata nel 1941 dal regime alla famiglia Serra, proprietaria della cava. Nel luglio del 1943 Mussolini viene arrestato, gli scalpellini della cava sospendono i lavori. Divisa in tre tronconi, è una scultura colossale che lo ritrae in tenuta marinaresca. Leggerezze…

Avremo tutto quando non avremo più la menzogna… quando percorreremo la via principale mano nella mano… senza la mediazione del B. C. I. Ecco il tremito (una vibrazione che se dura è capace di scinderti) quando sento il nome di quel posto che a volte ti inghiotte, dove sono stato poche volte – notte al parco sotto la pioggia – così mi ha accolto – carne d’asino, lumache e fave, la casa del dentista nei pressi dell’orto botanico, ospiti del venditore di collanine, l’amore vicino al cumulo di calchi in gesso in soffitta, uno aveva ancora tre protesi d’oro, sono state utili… se vuoi posso pronunciare il nome, se andiamo insieme all’isolotto della Paura, detto anche Roma… 

“… avevamo tutto”. Oltre alla leggerezza, avevamo – abbiamo – anche la menzogna… adesso abbiamo poco, forse avremo, più in là, forse… Pensi siano rifiuti che ti verso addosso?  Se potessi parlare con te non scriverei… non ti volti più quando te ne vai…”

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Piazza Caprera – contraria sunt complementa

“… non si ha a che fare con una miscela disordinata e infinita di monomeri ma con un composto di cui si conoscono perfettamente la composizione e le proprietà. Questi xxx, inoltre, sono degli anelli: non hanno terminali, e questo determina una difficile degradazione…” 

 

– “… un nugolo di blatte che fuoriesce da casa Sq. e ricopre per intero l’asfalto della strada morta. Anche qui a LM ci sono delle strade morte… ne ho individuata una, sulla mia pelle, un concentrato di caos e dolore… proprio sopra i cessi pubblici… una strada sventrata da lavori perenni… la grotta da letto buia, il lucernario che perde acqua quando piove, la grande tela con il pescatore che lancia il sughero, il piedistallo sociale, simenon sotto il giornale, maria e mariquita, la figlia del dottore, la blatta sopra la G di samsa… Sono scese in basso, hanno attraversato la stanza degli specchi, dove in bagno la Regina esercitò il suo potere…” – Eccomi finalmente dentro l’Orchidea, non c’ero mai stato; un grande unico locale, con una poltrona che sembra un trono, un camino alla parete in piena attività, sopra il camino un bassorilievo raffigurante Mitra che uccide il toro… di tanto in tanto spunta il sole dal lucernario e l’effetto è straniante… Intanto beviamo (2 vampiri che si succhiano il sangue a vicenda…). – “Mi piacerebbe cucinare con te”, mi sussurri… – Evochiamo il piccolissimo passato, episodi comuni, sacro e profano… e già preparavi i piani per la futura guerra… ma io volevo solo esserti amico! Fai di tutto per convincermi a lasciar perdere. Sei confuso, mi dici, quando mai si sono visti gli elfi a Marginetto?… e so che questa affermazione potrebbe essere vera… l’essere confusi, intendo. Ma è sicuramente vero quanto affermato da V.: “… ma lei mi ama oppure è un mostro che sa tutto di me dall’altra parte…” –

nel frattempo…

“Sei tu il custode dei manuali?” – “Si”. Sa che deve avere con se un dono, mi allunga il sacchetto con la sua razione di carrube, e io infilo la mano dentro, sono soddisfatto, sorrido, so che ho un che di infantile… e lei sente in questo un’affinità. Intorno cataste di libri dappertutto, odore di carta ammuffita, il canto delle sirene, cucinare con la pentola a pressione, Tlon, la cavalletta ci opprime, il dottor celine…- “In questo posto sei l’unico che conosco a non avere bisogno del cielo sulla testa. Peccato non poterti guardare negli occhi… Se ti guardassi, rischierei di bucarti l’universo!”. Ma il custode questo lo sa, e non toglie mai i suoi occhiali da sole… non sarà stato lui a bucare il suo, d’universo… il suo di lei… sotto altre forme… per esempio due occhi azzurri che ti sorridono dalla fessura del pavimento del portoncino di legno dipinto di piazza Caprera.

Il giorno dell’invasione – La paura aveva fatto piazzare un’esca per scarafaggi sotto il letto; fu così che si materializzarono le blatte… il nemico marcia sempre alla tua testa…- “… aiutami a cacciarle via! Ma non farmela pagare!” – “Veramente ho più dimestichezza con le mantidi… è più facile, sono isolate, gli fai credere che possono mangiarti… ” – Proprio perché è stato richiesto di non farlo che lo devo fare, e anche per l’inganno che la richiesta contiene… alibi… la futura guerra…: sono costretto mio malgrado a fartela pagare

Il rifugio sicuro di Piazza Caprera, velato dalla nebbia del mattino e dai residui di sonno chimico non era accessibile: musicisti, istruttori di vela, autori televisivi, un giovane notaio, un operatore ecologico, architetti, giornalisti, marinari… La fila era già abbastanza lunga dal mio punto di vista di una manciata di mesi, in mezzo alla fila… certo non meno lunga della mia.

– “Il tuo cavallo di battaglia!” – “No, non sono parole messe insieme a caso, la lista è semplicemente parziale. E ti confondi con la Storia universale dell’infamia… ho il sospetto che Jorge in qualche modo abbia vissuto questo posto fatto di gente di altri posti… come un girone infernale… a volte penso di essere io stesso capace di scrivere una Storia universale dell’ipocrisia, su questo scoglio”. – “Per un certo periodo ho sperimentato una notevole agiatezza vendendo accendini controvento qui a L.M: Ma ora sono come le blatte, li trovi dappertutto”. – “C’è da imparare dalle blatte, quando si riversano sul dorso e se ne restano immobili, facendo finta di essere morte…”

Mi sono limitato a fare da testimone, annuendo di tanto in tanto, affermando qualche gran verità, di tanto in tanto… Ci siamo fermati all’angolo, sotto la nicchia vuota e menzognera della stazione processionale, III mistero glorioso, il cespuglio di rosmarino in piena fioritura sopra il muro di cinta rosa, il profumo a ondate, la passante è passata facendo finta di niente, la scalinata di Via Spargi… c’era un sole caldo a illuminare la scena, è stato facile scoprire la singolarità. Nessuno direbbe che proprio li, dietro il vecchio portoncino marrone si mimetizzi l’Aleph, il più grande qui a LM, girone infernale, paradiso terrestre. Senza nemmeno l’esigenza di scavalcare. Tra le foglie secche, la tartaruga di guardia, le bestemmie, maria immacolata addolorata santissima li mortacci tua, l’angelo alla parete in conca de lettu nella penombra della grotta, l’altro angelo urlante nel mezzo della piazza morta. E qui è facile assumere come complementare la grotta della valle della luna, paradiso infernale…

Non mi sono dimenticato di fuggire via a bordo del gommone, il serbatoio pieno, le isobate nella testa, “La letteratura e il male” sottobraccio, merendine, sigarette, canne e mulinelli, l’assemblatore al sicuro, il calcolo renale messo da parte per un futuro racconto, “La figuretta del casto Asceta”, la valigia buttata a mare da tempo assieme ad altra paccottaglia spaziotemporale inutile, attori, tramonti, polli travestiti da marinai e leoni di caprera… rotta cala Canniccia. E’ andata come è andata… lontano da baroni, da garibaldi, da bisnonni anarchici… nemmeno una blatta qui, è vero… ma nemmeno pesca, o lezioni di vela, zero cene alla Casitta, nessuna regata, la micidiale rete da pesca barracuda non s’è vista, il progetto… per un bilancio verosimile rivolgersi alla sede appropriata… certo alla fine si è rivelata una casa morta… topi morti, carne morta… (tutti noi) gente in attesa dell’inevitabile resa dei conti…

– “… stupito dal fatto che la strada e tutto il resto esista davvero” – Mi faccio dare un passaggio con il pretesto dei parallelismi, scendo, mi guardo intorno… sì, è il posto, ma sono passati 2000 anni! La lapide sotto una teca di materiale sconosciuto. “Qui visse Squarciò”, e, sotto, sbiadito dal tempo, un graffito appena leggibile… “m’hai attaccato lo scolo!”, seguito da un’icona fallica genere lupanare di Pompeii…” (continua…)

stacco… giorno ma foschia, calma piatta… sciabordio, suono in avvicinamento…vedo una massa scura galleggiare… una vacca che nuota… segnalata da una boa rossa a forma di cuore. Dietro, legata alla prima, un’altra, e un’altra ancora. Alla fine ne conto 13. E mi torna in mente il racconto del Monarca, il bestiame spostato a nuoto dalla Corsica ai pascoli di Spargi…

“Hai infangato il nome dell’isola descrivendola infestata di blatte. Non so se ti ho perdonato” – “Siete stati voi che siete venuti a cercarmi… Farò in modo di essere imperdonabile. ” Almeno questo ci ha insegnato il cinema: sottrarci alle trappole fatali… ultimo tango, ultima scena. Ouff!”

Il tentativo di mettere tutto a tacere non andò a buon fine. Proprio quando sembrava che la storia altro non fosse che una banale leggenda metropolitana, saltarono fuori prove inoppugnabili, alle quali si aggiunsero testimonianze e altri fatti collegati… “non c’è niente di più provocatorio che badare ai fatti propri”

“… Sai, mi sono infine liberato dalle blatte, dopo una salita al Monte Sinai, località Spiniccio, sotto l’albero di carrube… anche le due gatte maddalenine, alla fine hanno deciso di stare con me al Villaggio, tra gli incroci ad alta entropia. Viaggeremo insieme, finché morte non ci separi.”

 

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Felix: stesse motivazioni, altra modalità. Non ha controparti da cercare, vuole solo – in apparenza – scoprire la sorgente dell’intensa attività cerebrale rilevata dagli strumenti. Si cala volentieri nella vita/sogno della capsula “immaginando splendide feste” … il malessere, il disgusto, il distacco da tutto lo vive come un fastidioso, inevitabile effetto collaterale del farmaco, ma all’incrocio infine…

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Felix vuole farglielo sapere, e scrive una lettera come si usava un tempo, carta e penna:

“amore mio, è doloroso non poterti vedere nemmeno per un attimo, non essere raggiunto da un tuo segno, è una fase che tu forse hai superato, io ho bisogno di più tempo… vecchi problemi di abbandono me lo impediscono, e l’amore adesso mi appare come un palloncino rosso a forma di cuore che si perde dietro nuvole, e nuvole…” 

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“Sei un personaggio impegnativo” –  disse lei a Felix – ” e ho agito d’istinto, non sapevo fossi tu… ho capito quando ho registrato un vertiginoso aumento del monologo interiore…” – Felix solleva la testa e la guarda con quei suoi occhi liquidi, trapassandola da parte a parte, ma non la riconosce. Lei si rattrista, gli occhi si inumidiscono, un tremito si impossessa di lei… “Mi riconosci ancora?” gli domanda senza convinzione. Poi accade qualcosa nella testa di Felix, il suono della voce di lei, il ricordo di un profumo di elicriso… Felix le stringe il braccio con una mano, ma è incapace di misurare la forza. Lei avverte un dolore che subito si trasforma in sottile piacere… – “Amore mio!” – le sussurra Felix. E lei si perde in quei due profondi laghi di felicità…

“Sei un personaggio impegnativo” –  disse Felix – ” e ho agito d’istinto, non sapevo fossi tu… ho capito quando ho registrato un vertiginoso aumento del monologo interiore…” – Lei solleva la testa e lo guarda con quei suoi occhi scuri, profondi, misteriosi, ma non lo riconosce. La paura gli si legge sul viso. Felix si rattrista, un tremito incontrollabile si impossessa di lui… “Mi riconosci ancora?” le chiede senza convinzione. Poi accade qualcosa nella testa di lei, il suono della voce, il ricordo di un profumo di elicriso… gli stringe il braccio con una mano, poi lo accarezza – “Amore mio!” – gli sussurra…  E Felix si perde in quei due profondi laghi di felicità…

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l’interno del gabbiotto è abitato da qualcuno, una roulotte senza ruote. Cento morti cento vite. Le rivive tutte, ma sull’autobus adesso c’è uno giovane. Sdraiato sui sedili in pelle bianca della Cadillac guardo attraverso i vetri anneriti…

Al distributore si ferma una vettura, l’uomo al volante aziona il clacson, scende, si guarda intorno nervosamente… nessuno! Risale in macchina sbattendo la portiera e riparte sgommando…

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“…tutti gli occhi dell’umanità stanno fissando il burrone verso il quale stiamo tutti precipitando…  la libertà non vi serve se non avete il coraggio di guardarci in faccia, di mangiare con noi, di bere con noi, di dormire con noi: sono proprio i cosiddetti “sani” che hanno portato il mondo sull’orlo della catastrofe. … Non siamo liberi da noi stessi! Io parlo chiaramente, senza ascoltare nessuno, perché tutti capiate che la vita è semplice e che per salvarvi, salvare voi stessi e salvare i vostri figli, la vostra discendenza, il vostro futuro, dovete tornare al punto dove vi siete persi, dove avete imboccato la via sbagliata! … Che cosa vale questo mondo, che cosa vale la sua giustizia, quando un povero malato di mente, come ci chiamate, vi dice: vergognatevi! Fino a che siete in tempo: vergognatevi! …” A. Tarkovskij (R.I.P.)

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(Un giorno m’invento un pellegrinaggio, meta la capsula che  l’alloggia; porto con me il vasetto con la piantina d’elicriso e il rilevatore d’onde. Appoggio il vaso e attivo il rilevatore. L’attività cerebrale è nella norma… “la pazza è ancora viva”, penso a voce alta, e penso anche che non sono da meno… Riattivo lo strumento con la capsula adiacente… nessun segnale… decido di organizzarmi per occuparla… e ripenso ai giorni in cui il bisogno di lei era più forte di tutto… adesso non ho la minima empatia nei tuoi confronti, nei miei… ci hanno messo del tempo, ma alla fine gli anticorpi sono entrati in funzione, con o senza demarginatore… ma è stato a caro prezzo, quasi tutta la mia energia di veggente riluttante e inconsapevole… E comunque grazie, grazie, grazie… (mi è andata bene… ti è andata bene…)

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Non credo possa più succedere, ma, nel caso, una domanda da porti ce l’avrei… “omissis”

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NON PER GIORNALISTI E REPLICANTI VARI

Di sicuro altri hanno rinnovato più volte il contratto, noi lasciamo da parte la coppia e ci focalizziamo su questo gruppetto, questa “agile squadretta”, salva grazie ad un “fiancheggiatore-manipolatore-veggente” che non ha rinnovato per poter operare dall’esterno e garantire a quelli rimasti la non interruzione del servizio (più volte minacciata dalle autorità per questioni burocratiche) … “E TU, VUOI FARE PARTE DI QUESTA SQUADRETTA?” –  La citazione (se mi ricordo bene): “Eppure la vita, come fenomeno, si era trovata così bene nella pianta, a che scopo dotarla di movimento e spingerla alla ricerca di cibo”.

Il vaso con la piantina di elicriso è qui. Adesso. Profuma

 

Attualmente l’agile squadretta è composta da : Franco, Victor, Alberto, Pascal, Erminia…

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